martedì 24 settembre 2013

PARMADAILY INTERVISTA IL GRUPPO ANARCHICO ANTONIO CIERI FAI





 

PRATO: IL CASO DELLA STRADA INTITOLATA A GAETANO BRESCI.

                                                assessore Silli PDL di Prato

IL CASO:


Prato, 20 settembre 2013 -  "Cambiare il nome a via Gaetano Bresci, perché non è pensabile che una città importante come Prato abbia una via intitolata ad un assassino".



                                                    decorazione di uno schiavo di stato
  
E' questa la richiesta dell'associazione Nastro Azzurro, istituto che riunisce decorati al valore militare, e che attraverso una raccolta di 70 firme ha trovato l'appoggio dell'Assessore Giorgio Silli, che proporrà in Giunta la questione.





Riportiamo l'intervento del compagno Alfredo Mazzucchelli in polemica con la paventata decisione di eliminare la dedica di una strada a Gaetano Bresci.

Perché tanta meraviglia per una strada intestata a Gaetano Bresci?
Riconosciuto anche dagli storici più conservatori che il regno di Umberto è il regno degli eccessi repressivi, degli stati d'assedio, il regno di un sovrano dispotico il cui autoritarismo di vocazione si concreta nel disegno di governare da solo, al di fuori del Parlamento, manovrando i ministri come dipendenti, sedendo egli stesso, ed in pratica presiedendolo, nel consiglio dei ministri, mandando al potere presidenti di sua scelta e non di indicazione parlamentare, impedendo qualsiasi controllo sui dicasteri militari considerati di sua esclusiva pertinenza, dettando di persona la politica estera, sostenendo in primis «la necessità di forti armamenti e la conseguente ineluttabilità di una energica pressione fiscale», non è comprensibile l'alzata di scudi da parte di alcuni in difesa della memoria di Umberto.



re Umberto I

 
Il gesto di Bresci è spontaneo, dettato da una logica elementare, la stessa logica tuttavia che sostiene le argomentazioni di non pochi che, a partire dallo scozzese Guilelmus Barclay, si oppongono alla trasformazione assolutistica dell'istituto monarchico traendo dal principio della sovranità popolare la conseguenza di un diritto di resistenza attiva contro la tirannide. Le radici di tale pensiero si ritrovano nell'antica Atene, 480 a.c., con l'uccisione del tiranno Ippia da parte di Aristogitone ed Armodio, ai quali la democratica Atena innalzò monumenti oltre ad affondare nei tempi nteriori alla Riforma,risalendo fino al medio evo la distinzione tra re e tiranno con l'ammissione di legittimità per la disobbedienza e perfino per il tirannicio nei confronti di quest'ultimo.
Anche da parte cattolica le idee diffuse dalla corrente dei “monarcomacbi” trovano significativi esponenti nella :compagnia di Gesù; il Mariana (1599) ammette la giustificazione del regicidio e Francisco Suarez approva la ribellione al sovrano quando si comporta da tiranno. Non è un mistero che i motivi espressi da questa corrente di pensiero ispirino l'azione di Jacques Clément e di Ravaillac.




 
Se Umberto è pianto ciò si deve alla pietà che è un sentimento legato alla morte ma lo stesso Vittorio, successo al padre che non amava quell'unico figlio gracile, introverso e infelice, comprende il significato del regicidio tanto che chi si aspetta reazioni tradizionali all'assassinio resta quanto meno incerto quando si apprende che il nuovo re non accetta la proposta del ministro della guerra Ponzio di San Martino di proclamare lo stato d'assedio; non solo, ma si oppone a che senato e camera si riuniscano in alta corte per condannare a morte il regicida. Chi si aspetta decreti restrittivi resta altrettanto sorpreso apprendendo che Vittorio appone la propria firma unicamente sotto il brevetto di nomina a cavaliere del fedele cameriere del padre e alla concessione della pensione di combattente ai superstiti delle guerre risorgimentali e, chiamato il guardasigilli Emanuele Gianturco, dichiara testualmente: «Bisogna che i cittadini rispettino le leggi ma è necessario che le leggi siano applicate imparzialmente. Lavoriamo tutti a sopprimere i giudizi iniqui e le brutte leggende cadranno da sé». Parole da internretarsi nel senso più liberale: giustizia per tutti,
perfino per Bresci. Il re dice no alla repressione, no all'illegalità-legale, no al pugno di ferro, liquidando la composita pattuglia di consiglieri di cui si circondava Umberto e quando, Vittorio è re da appena quattro mesi, il prefetto di Genova scioglie la C.D.L., definendolauna organizzazione sovversiva, il piccolo sovrano dichiara che “non si possono negare i diritti dei sindacati”, costringendo Saracco che, scesi in campo migliaia di operai, difende il rappresentante del governo, a ricevere una delegazione di lavoratori ed annullare il provvedimento.




Nella mancata istituzionalizzazione della reazione sta il significato dei colpi di revolver sparati in quella notte d'estate del 1900.
Al poliglotta consigliere della destra pratese ed agli esponenti del militarismo confluiti nella associazione Nastro Azzurro, consigliamo una abbondante bevuta di birra Peroni, nastro azzurro.
GAETANO BRESCI, SANTO SUBITO !!!



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