“Al prete che dice che questi uomini sono i nemici della religione; al giudice che dice che questi uomini sono i nemici della legge; al pingue parlamentare che dice che questi uomini sono i nemici dell’ordine pubblico e della decenza; a tutti quelli io ripeterò: Voi siete dei falsi re, ma siete veri profeti: Io sono venuto a distruggervi e ad adempire le vostre profezie!”
Con questa persuasiva affermazione, il personaggio letterario Gabriele Syme de “L’uomo che fu Giovedì” di Chesterton consacra la sua adesione ad una misteriosa società anarchica londinese che lo condurrà verso una serie inaspettata di colpi di scena e clamorose rivelazioni.
Al di là delle trame, la citazione proposta presenta quelli che sono i motivi chiave del sentimento anarchico, avente come punto fermo la sovversione di un ordine; il termine stesso anarchia contiene la sua rivelazione nella radice greca che lo forma: ana-arké, senza governo, senza capo o guida.
Da qui, ecco motivati l’assassinio del re d’Italia a Monza da parte dell’anarchico Gaetano Bresci, l’omicidio dello zar di Russia Alessandro II con la speranza di una precoce rivoluzione, o ancora i vari attentati promossi contro Mussolini che sempre ne uscì illeso.
Atti violenti contro il sistema, contro il potere costituito, contro tutto quel tessuto putrido cementato nella tradizione ed apparentemente invincibile se non attraverso azioni estreme.
“La Rivoluzione non è un pranzo di gala” sosterrà Mao; gli anarchici sembra l’avessero capito diversi decenni in anticipo.
n questo movimento estremo di “ordine senza potere”, l’arte come si innesta?
È prima di tutto necessario effettuare una precisazione, che traggo da un articolo scritto dal critico d’arte Arturo Schwarz: “l’anarchia non è sinonimo di disordine, confusione, arbitrarietà o irresponsabilità (che sono invece connaturali ai sistemi autoritari, ugualmente ostili all’individuo e alla collettività), ma implica un ordine superiore basato sull’armonia e l’amore. L’anarchia è uno stato d’animo. Ogni persona può scoprirlo da sé e per sé nel solo modo possibile, facendo proprio il rifiuto del principio di autorità”.
Anarchia come stato d’animo dunque, come introspezione e riscoperta di sé; esattamente come la produzione artistica.
Il legame solidissimo tra l’anarchico e l’artista è stato colto dalle più grandi menti (e cuori) dei decenni passati.
Famosa è la dichiarazione di Wilde per cui “la forma di governo che più si associa all’artista è l’assenza di governo”, così come André Breton farà corrispondere il mondo anarchico al mondo surrealista o ancora Signac che definirà il pittore anarchico come colui che, incurante dei guadagni, “lotta con tutta la sua individualità contro le convenzioni borghesi”.
Anarchia come stato d’animo dunque, come introspezione e riscoperta di sé; esattamente come la produzione artistica.
Il legame solidissimo tra l’anarchico e l’artista è stato colto dalle più grandi menti (e cuori) dei decenni passati.
Famosa è la dichiarazione di Wilde per cui “la forma di governo che più si associa all’artista è l’assenza di governo”, così come André Breton farà corrispondere il mondo anarchico al mondo surrealista o ancora Signac che definirà il pittore anarchico come colui che, incurante dei guadagni, “lotta con tutta la sua individualità contro le convenzioni borghesi”.
Assodata l’anarchia come rifiuto del principio di autorità, risulta palese come l’arte sia per sua stessa natura anarchica, come l’artista sia “la dimensione estetica dell’anarchico, così come la materia è la dimensione del movimento”.
Una prova è il fatto che gran parte delle opere pittoriche della nostra secolare storia occidentale ritraggano Dio o scene a lui connesse: l’uomo sfida quell’autorità intesa come sua creatrice e si permette di dargli volto, forma e dimensione, di racchiuderlo entro una figura definita, umanizzandolo. Il sacro che diviene profano.
Dio ha fatto l’uomo ed allo stesso tempo l’uomo crea Dio…un deciso sovvertimento dell’ordine!
L’arte è poi anarchica per l’umana tendenza a non standardizzarsi, per quel suo vizio pestifero di sfidare il tabù e svelarlo in primo piano, come se operasse per antitesi: “Tu mi impedisci di disegnare questo e quello? Il sistema lo vieta? Bene, io allora disegnerò proprio questo e quello!”
Stando al panorama italiano, artisti dichiaratamente anarchici iniziarono a diffondersi sulle scene sul finire del XIX secolo, ebbri della poesia simbolista francese sostenitrice degli libertari.
Tra questi, la maggior parte accoglierà le posizioni del movimento futurista iniziato da Marinetti che, non a caso, nella sua prima opera teatrale Le Roi Bombance del 1905 esalta le gesta dell’anarchico Famone.
A tali suggestioni non si sottrassero nemmeno artisti anarco-socialisti quali Boccioni e Carrà, già traduttori nelle loro opere di temi umanitari del lavoro.
Il futurismo incarna in arte il pieno spirito dell’anarchismo, rifiutando di getto ogni legame col passato – considerato anacronistico e stantio – ed anelando ad una rivoluzione che possa correre veloce, come veloce correva in quegli anni il progresso umano.
Gli ideali dell’anarchismo saranno accolti dalla maggior parte delle avanguardie artistiche del nuovo secolo, in Italia come nel mondo intero.
C’è dell’anarchia nel dadaismo, con Tristan Tzara che dichiarava “Dada nacque da una rivolta comune a tutti i giovani (…) senza riguardi per la storia, la logica, la morale comune”, così come abbiamo influenza anarchica e rivoluzionaria in movimenti quali il surrealismo e l’astrattismo stesso.
Nessun secolo come il Novecento ha rotto così di netto con l’esperienza artistica dei secoli passati, come si fosse ormai esaurita un’energia propulsiva e il destino dell’arte potesse solo dipendere da nuove forme e nuove concezioni. Come se l’arte avesse definitivamente consumato il suo rapporto d’amore con l’uomo e solo due nuove compagne potessero riaccendere il sentimento: la “signora Libertà e la signorina Anarchia”.
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