domenica 8 dicembre 2013

Anarchismo in Africa


fonte: http://ita.anarchopedia.org/Anarchismo_in_Africa


L' anarchismo africano si differenzia dagli altri "anarchismi" in quanto si caratterizza per alcune specificità legate alla tradizionale organizzazione politica delle antiche società africane, in cui erano spesso presenti elementi libertari o forme di potere non centralizzate. Su questa tradizione si sono poi innestati le moderne correnti anarchiche, che hanno così dato vita ad un particolare ed originale modo di intendere l'anarchismo (anche se non mancano le forme d'anarchismo classico).
Nonostante le “amnesie” dei media e della storiografia ufficiale, prima dell'orrore colonialista gli africani hanno avuto una millenaria e gloriosa storia, senza la povertà e il degrado che invece domina attualmente nel continente africano. La fame e la sofferenza non è un fatto congenito, ed è bene ricordare che molti genetisti, fra tutti Luigi Luca Cavalli Sforza, identificano la madre di tutti gli umani nella celebre "Eva nera", individuata nella Rift Valley dell'Africa centro-orientale. Ne consegue che le civiltà tradizionali africane, ben lungi dalla razzista etichettatura che le bolla come primitive, hanno permesso la sopravvivenza di molti gruppi in tutto il continente e che i peggioramenti nella loro qualità di vita sono stati avviati con le pratiche di colonizzazione.
In molte di queste civiltà erano presenti, o lo sono ancora in alcuni gruppi che ancora non hanno subito la colonizzazione occidentale, elementi che sono definibili anarchici, come riportano gli storici Sam Mbah e I. E. Igariwey, nigeriani anarchici militanti della Awareness League, nel loro African Anarchism: The History of a Movement:
«In maggiore o minore misura, tutte le […] società tradizionali africane hanno manifestato “elementi anarchici” che, dopo attento esame, prestano credito alla verità storica che i governi non siano sempre esistiti. Essi non sono ma fenomeno recente e sono, quindi, non inevitabili nella società umana. Mentre alcune caratteristiche “anarchiche” delle società africane tradizionali hanno persistito solo in gran parte del suo sviluppo, altre di loro persistono e rimangono ancora oggi».




Sam Mbah, anarchico e studioso dell'anarchismo africano
Gli autori le definiscono tendenzialmente anarchiche a causa della struttura priva di politiche verticali e per l'assenza di classi sociali. Le comunità tradizionali sono state, o sono, organizzate su principi autogestionari, con ruoli sociali flessibili e intercambiabili. Questo concetto è stato esplicato dallo stesso Sam Mbah in un'intervista rilasciata ad un organo anarchico statunitense:
«Chiediamo comunità autonome e autogestionate che si occupino dei loro affari con la minima interferenza dei vari livelli governativi. Pensiamo che questo sia un'approccio al sistema dei villaggi che è esistito prima del colonialismo. Nel sistema dei villaggi africani, esistevano piccoli e grandi villaggi. Questi villaggi erano autonomi e indipendenti e lavoravano per se stessi, decidendo che cosa produrre, quando e come distribuire, e il processo decisionale era tale che nessun individuo comandava sugli altri. Infatti, le decisioni venivano prese per consenso. Non avevano installato strutture verticali coercitive. Noi vogliamo stabilire una relazione tra anarchismo e il sistema dei villaggi africano, perché il sistema era democratico e autonomo, e distribuiva equamente i beni. Il sistema stale in Africa ha fallito nella distribuzione dei beni, invece è diventato uno strumento di repressione e negazione delle libertà individuali e collettive, quindi il nostro obiettivo è quello fondato sul principio basico della organizzazione della società e consideriamo che in passato, il governo della Tanzania ha cercato di creare questi sistemi tradizionali africani, attraverso quelli che chiamavano villaggi Ujamaa, in cui villaggi sono stati incoraggiati a coltivare e condividere tra loro i proventi. Naturalmente, tutto ciò che il governo sponsorizza finisce in corruzione e burocrazia. La corruzione e la burocrazia sono due fattori fondamentali che hanno portato alla fine del sistema Ujamaa. Però crediamo che se il governo viene rimosso, questo processo probabilmente funzionerà. Perché anche oggi abbiamo esempi nelle aree urbane del nord, a dimostrazione che una parte importante della nostra vita è dominata dai valori del sistema dei villaggi. Abbiamo le famiglie estese, se qualcuno va a scuola non solo i genitori pagano la scuola, ma anche zii, cugini e nipoti che contribuiscono in svariate forme. Partiamo dal presupposto che questa è una pratica alternativa al sistema statale, ed è anche più umana ed efficace per rispondere alle esigenze e alle aspirazioni delle persone.» (Pubblicato in «Anarcho-Syndicalist Review», n° 24, primavera 1999. Chicago.)
Il sistema gerarchico e classista si è sviluppato in Africa soprattutto nel XV° secolo, anche se già alcune antiche civiltà (l'Egitto dei faraoni, Nubia, Hausa, ecc.), erano sostanzialmente strutturate in questa maniera. I due anarchici nigeriani non si esimino dal criticare diversi aspetti comunque non anarchici e autoritari presenti anche nelle società tradizionali, per esempio una certa volontà alla sottomissione della donna rispetto all’uomo, la tendenza a volte a far valere il principio di responsabilità collettiva o della vendetta violenta contro le adultere, gli assassini, i ladri e quindi anche contro i loro famigliari.

L'attualità dell'anarchismo in Africa
L'Africa da molti secoli e sino ad oggi si trova in condizioni di estrema povertà nella gran parte delle sue regioni, nonostante il continente africano sia ricco e abbondante di ogni bene. Il capitalismo non è riuscito in alcun modo a fornire un livello di minimo di sopravvivenza, così come i socialisti autoritari che in alcune zone hanno esercitato una certa influenza.
In questo contesto l'anarchismo non è soltanto una soluzione, ma è L’UNICA soluzione possibile che può permettere alle masse africane di liberarsi dai colonizzatori occidentali e riacquistare dignità e livelli di vita soddisfacenti. Negli ultimi periodi gruppi e individualità si sono manifestante in ogni angolo del continente ed anche se i numeri sono piccoli, c’è da pensare che l’anarchismo non possa solo che crescere. Le masse africane hanno poco da perdere e tutto da guadagnare, una volta liberatasi dalle catene mentali che imprigionano la loro libertà e le loro potenzialità autogestionarie da sempre insite nelle loro civiltà.

 Nord Africa e Medio Oriente


Bandiera del Movimento Socialista Libertario (Egitto), costituito nel maggio del 2011

Leda Rafanelli, conobbe il pensiero anarchico in Egitto
Le due regioni geografiche vengono qui messe in relazione per gli stretti rapporti da sempre esistenti tra gli abitanti di queste zone, basti pensare che l’antico Egitto inglobava tutti questi territori.
L'anarchismo in Africa del Nord ed in Medio Oriente ha una storia più antica delle altre zone del continente. Tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, molte pubblicazioni furono editate in Libano, Algeria, Egitto e Tunisia. La prima pubblicazione anarchica è datata 1877, ad Alessandria d'Egitto. Gran parte delle idee furono diffuse da famiglie di operai italiani migrati in nord Africa per lavoro (es. Leda Rafanelli ed Enrico Pea, fondatori del circolo Baracca Rossa di Alessandria d'Egittto) o per sfuggire alle persecuzioni durante il periodo fascista (es. tra i militanti del circolo libertario di Tunisi vi erano: Emilio Atzori, Raimondo Mereu, Francesco e Antonio Piras, Giovanni Dettori, ecc.), anche se non mancano i locali che abbracciarono gli ideali anarchici (es. l'egiziano Mohamed Sintky). Gli anarchici italiani furono anche accusati di aver messo in atto un attentato contro il consolato italiano di Tunisi il 28 dicembre 1928 e contro il giornale fascista «Unione» il 18 aprile 1929). Spesso questi movimenti sono stati però offuscati dal nazionalismo o dal marxismo, tuttavia gruppi e individualità persistono ancora oggi: in Israele\Palestina agiscono gli Anarchici contro il Muro, in Libano il gruppo Al Badil al Taharouri, in Algeria gli anarchici locali, specie quelli militanti nel Conseil des Lycées d'Algérie, hanno contatti con i francesi della CNT-f, infine in Libia Marocco ed Egitto agiscono piccoli gruppi o singole individualità impegnate nel campo sindacalista e in quello della ricerca universitaria.
In Egitto, le rivolte contro Mubarak sono state l'humus politico-culturale che hanno permesso la nascita del Movimento Socialista Libertario (الحركة الاشتراكية التحررية), costituitosi ad Il Cairo il 23 maggio 2011.


AFRICA OCCIDENTALE


Negli anni 90 per la prima volta gruppi anarchici hanno cominciato ad organizzarsi in questa zona del continente africano. In Nigeria la Awareness League si è mossa nell’ambito comunista-anarchico e anarco-sindacalista, entrando a far parte dell’AIT sindacalista e lottando contro la giunta militare dell’epoca. Nel 2000 si sono anche dotati di una stazione radiofonica ubicata nel sud-est del paese. Questi anarchici hanno sviluppato rapporti con i loro compagni della Sierra Leone, in cui il gruppo principale è una sorta di sezione dell'IWW.
Rapporti sono stati recentemente sviluppati con alcuni attivisti sindacali del Senegal, di cui però non si sa molto, anche perché in alcune zone il movimento muove i primi passi come organizzazione e strutturazione nel territorio.

 Africa orientale

I movimenti e le organizzazioni anarchiche hanno in tempi recenti cominciato a comparire, forse per la prima volta in assoluto, nell'Africa orientale. Nel 2000 gli anarchici dell'ovest sono venuti a conoscenza di un'organizzazione ugandese: l'UDAF, ovvero "Uganda Anarchist Democratic Forces". Il gruppo ha lanciato in quel periodo numerosi attacchi contro il governo militare. I primi annunci di un sub-delegato dell'UDAF sono stati accolti però con scetticismo dai compagni occidentali, ed effettivamente molte domande rimangono circa l'autenticità di questo gruppo e i suoi rapporti con il più conosciuto Irish anarchist on the Uganda Anarchist Democratic Forces (UADF). Ancor più recentemente gli anarchici ugandesi hanno postato molto materiale in internet per dimostrare la validità delle loro intenzioni, ma forti dubbi su chi ci sia dietro questi movimenti sono sorti specie tra agli anarchici occidentali. In altre zone dell'Africa orientale ci sono altri progressi del movimento assai incoraggianti: in Kenia, i movimenti radicali che si sono opposti alla dittatura e ai ladrocini del presidente Moi, hanno manifestato un interesse concreto verso l'anarchismo. La Workers Solidarity Federation del Sud Africa ha qualche hanno fa stabilito buoni legami con alcune individualità ubicate in Tanzania. Flebili tracce riscontrabili anche in Somalia. 


 Centro e Africa del Sud

In centro e Sud Africa i primi piccoli movimenti rivoluzionari anarchico-sindacali si ebbero solo a partire dall'inizio del 20° secolo, coinvolgendo soprattutto il Sudafrica ed il Mozambico, quantunque la bandiera nera sventolava sin dal dagli anni '70 del XIX secolo nelle miniere di Kimberley in sciopero (lo sciopero probabilmente fu fomentato da alcuni comunardi in esilio). In centro e SudAfrica il movimento è sempre stato forte e ben strutturato sul territorio a partire dall’inizio del ‘900, quando si costituiscono diversi gruppi di matrice libertaria e\o rivoluzionaria come il «Socialist Club, fondato in Sud Africa da Henry Glasse nel 1900 [...] la Revolutionary League, fondata in Mozambico da Jose Estevam nel primo '900, della International Socialist League, fonadata in Sud Africa nel 1915, della Industrial Socialist League, fondata nel 1918, e del Partito Comunista del Sud Africa antiparlamentare, fondato nel 1920» [11].

Simbolo della Zabalaza Anarchist Communist Front
A questi vanno aggiunte le attività delle singole individualità e la nascita di una sezione dell'IWW (1910). Bisogna sottolineare come dall'International Socialist League, fondata nel 1915 ed ispirata all'IWW, si siano poi diramati altri gruppi di tendenza rivoluzionaria entro cui troveranno posto anche molti anarchici: Industrial Workers of Africa, nel 1917, e poi il Clothing Workers Industrial Union, l’Horse Drivers' Union e l'Indian Workers' Industrial Union.
Altro gruppo importante è stato l'Industrial and Commercial Workers' Union of Africa (ICU) che ha operato in Namibia, in Sudafrica, nello Zambia e nello Zimbabwe a partire dai primi anni ‘20. Negli anni '20 il movimento anarchico entrò in crisi e solo tra gli anni '80 e '90 si ebbe la nascita di un nuovo movimento. In Sudafrica, afflitto dall'apartheid imposto dal governo razzista della minoranza bianca, è ovvio che la lotta contro il razzismo coinvolgesse anche gran parte dei "nuovi" libertari sudafricani.
Uno dei primi nuovi gruppi fu l'Anarchist Revolutionary Movement (ARM), che dopo una breve vita vide nel 1995 la confluenza di alcuni suoi militanti nel Workers Solidarity Federation (WSF). Nel 1997, i militanti del WSF iniziarono a stabilire rapporti con gli anarchici dello Zambia, contribuendo così a creare una sezione zambiana del WSF (Anarchist & Workers’ Solidarity Movement). Attualmente l'attività degli anarchici in Zambia è però poco chiara. L'WSF diffuse propaganda anarchica anche nello Zimbabwe ed ebbe contatti anche in Tanzania.
Nel 1999, per vari motivi, l'WSF si sciolse ed al suo posto nel 2003 è nata una grande federazione, la Zabalaza Anarchist Communist Federation (ZabFed), d'ispirazione piattaformista anarchica. A partire dal 1° dicembre 2007 la federazione ha assunto la denominazione di Zabalaza Anarchist Communist Front (ZACF), mantenendo comunque i principi comunisti-anarchici della ZabFed. Lo ZACF consiste in varie sezioni:
  • Anarchist Black Cross
  • Bikisha Media Collective
  • Black Action Group
  • Zabalaza Action Group
  • Zabalaza Books

Alexander Berkman, anarchico americano

fonte: http://sergiomauri.wordpress.com/2012/03/16/alexander-berkman-anarchico-americano/

Alexander Berkman è una figura dimenticata della storia americana, esiliato alla periferia come molti altri radicali non adattabili in modo confortevole entro le narrazioni tradizionali. Egli visse in un tempo nel quale lavoro e capitale, negli Stati Uniti in quanto paese industrializzato, erano impegnati tra l’ultima parte del 19° e la prima del 20° secolo, in un apparentemente perpetuo e violento conflitto. Capitalisti come Carnegie e Rockefeller frantumavano brutalmente gli sforzi dei lavoratori che sfidavano le orribili condizioni di lavoro nelle miniere, nelle fabbriche e nella costruzione delle ferrovie.
Berkman emigrò negli Stati Uniti dalla Russia, portandosi appresso i paradossali valori della violenta azione individuale nel nome della classe lavoratrice, comunemente conosciuti come propaganda per mezzo dell’azione, e il ricorso alla violenza fisica contro i nemici politici, frequentemente gli industriali, funzionari di polizia o magistrati, come modo per ispirare le masse a fare la rivoluzione. Nel 1892, infuriato per l’interruzione dello sciopero Homestead , Berkman tentò di assassinare Henry Clay Frick, un socio d’affari di Carnegie che aveva assunto Pinkertons per attaccare i lavoratori dell’acciaio che avevano preso possesso delle Homestead Works quando divenne chiaro che Frick voleva sciogliere il sindacato.
Nell’attuale mondo postmoderno, un mondo in cui il consumismo e la cultura popolare hanno spinto il conflitto di classe ai margini, un mondo nel quale le decisioni di vita o di morte sono asetticamente messe in atto per mezzo di fogli di calcolo elettronici, la nozione di propaganda per mezzo dell’azione colpisce, nel migliore dei casi, come romanticamente antiquata, nel peggiore, come una immorale violazione dell’etica pacifista che tanto domina globalmente l’attivismo della sinistra. Ma cominciando a leggere le Memorie dal carcere di un anarchico di Berkman, il suo resoconto del tentato assassinio di Frick ed il suo conseguente imprigionamento, diventa abbondantemente chiaro che c’era un mondo assai differente nel 1892.
A differenza di oggi, i nemici della classe lavoratrice apparivano prontamente identificabili ed accessibili. Nella prima sezione del libro, Berkman descrive come egli fu emotivamente provato dalla forzata interruzione dello sciopero Homestead, uno sciopero che egli e i suoi più stretti associati, come Emma Goldman, credevano, abbastanza erroneamente, rappresentasse l’inizio di una ribellione dei lavoratori contro il sistema capitalista americano. Avendo persuaso se stesso che egli era parte della avanguardia rivoluzionaria, decise che doveva uccidere Frick per ispirare i lavoratori a ridedicarsi ad una ancor maggiore resistenza. Berkman personifica il paradosso radicale: un uomo che si identifica intensamente con la sofferenza di contadini e operai e presume anche di agire violentemente in loro nome e senza cercare la loro approvazione.





Una volta imprigionato, Berkman scopre di essere stato alquanto fuorviato. Gli altri detenuti non possono comprendere perché egli ha fatto ciò che ha fatto, sebbene egli sia rispettato da alcuni poiché riconosce superficialmente come essi sono stati maltrattati dal sistema della giustizia criminale. In ogni caso, anche qui, egli soffre di una arrogante e impersonale prospettiva iper-ideologica, tendente a percepire molti degli altri detenuti come figure parassitarie senza posto nella utopia operaia che egli prefigura.
Fu solo col passare del tempo e la condivisione delle esperienze di lotta per la sopravvivenza di fronte alle condizioni medioevali della prigione che Berkman comincia a rispettarli e li percepisce come uguali. In più, attraverso l’uso dell’inglese, egli descrive gli incontri con i detenuti che divengono via via relazioni durevoli. Egli parla con una voce chiara e senza pretese, passionale e candida. La prospettiva di morire in carcere insegue qualunque detenuto. Mentre egli sconta la sua lunga condanna, molti dei suoi amici muoiono, uno dopo l’altro, di isolamento, malattia, inadeguate o inesistenti cure mediche, follia e attacchi fisici perpetrati dalle guardie.
L’industrializzazione dell’America avvenne creando un’enorme popolazione di gente impoverita che invariabilmente si ritrovava incarcerata. Berkman ne da memoria attraverso il ricollegarsi alla loro vita in prigione, specialmente nelle sue descrizioni dei più banali ed intimi dettagli delle loro attività quotidiane. Egli è anche capace di distinguere tra le guardie, riconoscendo coloro che cercavano di rendere le vite dei prigionieri più tollerabili. Nelle lettere spedite alla Goldman, riprodotte nel libro, egli inizia a comprendere che la violenza del sistema capitalistico americano era più sofisticata e, quindi, più efficiente che non le forme feudali di controllo sociale praticato nella Russia zarista da cui egli veniva.
Con sorpresa della Goldman, Berkman non approvò completamente l’assassinio di McKinley in coerenza coi suoi ideali anarchici:



In Russia, dove l’oppressione politica è sentita da tutta la popolazione, tale azione avrebbe un gran valore. Ma lo schema di soggiogamento politico è più sottile in America. E sebbene McKinley fosse il rappresentante capo della nostra schiavitù moderna, egli non potrebbe essere considerato sotto l’aspetto di un diretto e immediato nemico della gente, mentre nell’assolutismo l’autocrate è visibile e tangibile. Il vero dispotismo delle istituzioni repubblicane è più profondo, più insidioso, perché risiede sulla delusione popolare per l’auto-governo e l’indipendenza. Questa è la sottile origine della tirannia democratica e, come tale, non può essere raggiunta da un proiettile.


Sembra che Berkman non trovò mai un modo per vincere politicamente la violenza così efficacemente intessuta nel sistema sociale americano. Rigettando l’assassinio [come intervento politico, n.d.t.] nel 1901, egli apparentemente vi ritornò nel 1914, quando partecipò di proposito in un complotto per uccidere Rockefeller dopo la dura soppressione degli scioperi nelle miniere del Colorado. Per lui, la violenza del capitalismo americano poteva essere vinta solo per mezzo della violenza degli operai.
E’ facile scaricare Berkman in un’epoca dove la non-violenza di Gandhi e di King sono in auge. Ma se uno guarda con attenzione, egli rimane rilevante per il suo coinvolgimento onesto con il problema, anche se è scomparso tra le nebbie della storia. Dopo tutto, la non-violenza della sinistra globale non ha prevenuto i saccheggi dell’invasione dell’Iraq e della seguente occupazione militare. Non ha neppure rallentato l’incessante processo di accumulazione primitiva per mezzo della finanza capitalistica globale nelle manifatture del mondo meno sviluppato. E’ stato lasciato agli stessi Iracheni il compito di resistere attraverso l’uccisione di militari americani e di loro collaboratori locali, azioni condannate da molti di quei pacifisti “liberal” che non sono in grado di proteggerli, e lo stesso é stato fatto anche con i Zapatisti, adorati da molti a sinistra, che risposero al progetto di genocidio culturale lanciando attacchi attraverso il Chiapas il 1° gennaio del 1994


ANARCHICI CONTRO IL MURO


Che cos'è il Muro?
Il "Recinto di Sicurezza" come lo chiama il governo israeliano è in realtà una rete di muri di cemento, recinti di filo spinato e elettrificato, trincee, strade di pattuglia, torre di guardia e videocamera.

La sua larghezza è in media di 60 metri ed è lungo 590 km.

Costo totale previsto: 1,2 milioni di Euro

Costo per ogni kilometro: €170.000

Chi sono gli Anarchici Contro il Muro?
Un po' di storia
L'anarchismo nasce in Israele nei primi anni Settanta. Inizialmente la presenza anarchica era limitata a qualche gruppo musicale e qualche giornaletto, tipo zine, sebbene gli anarchici si facessero vedere nelle manifestazioni per il Primo Maggio tra gli elementi della sinistra non-sionista.
Durante gli anni Novanta, c'è stato un salto di qualità tra gli anarchici con un forte aumento nel numero di gruppi anarco-punk, la distribuzione di testi anarchici e il lavoro degli anarco-ambientalisti con Azione Verde e gruppi per i diritti degli animali. Alcuni hanno anche lavorato con il movimento contro il nucleare e per Vanunu, il noto svelatore del progetto nucleare israeliano.
Alla fine degli anni Novanta, poco prima di Seattle e per qualche tempo dopo, c'è stata un'iniziativa di breve durata per un collettivo anarco-comunista insieme ad una rete locale del tipo AGP che lavorava in diverse lotte, dando però più importanza alle questioni sociali e sindacali.
E adesso?
La Seconda Intifada è stata fattore principale per la crescita del movimento dei refusnik, promosso con il forte coinvolgimento di molti giovani anarchici. Infatti, i primi arrestati tra questi erano anarchici. Successivamente, molti altri della sinistra non-sionista si sono uniti al movimento, che sembra aver raggiunto il culmine con la mobilitazione contro la condanna a un anno di carcere a carico di 5 persone.
Circa un anno fa, c'è stato ancora un altro salto di qualità quando si è formata una federazione che unisce la lotta sociale con la lotta per i diritti degli animali: Ma'avak Ehad (One Struggle/Una Lotta). Questo gruppo ha fatto diverse azioni pubbliche per i diritti degli animali e si sono impegnati nella lotta contro il Muro dell'Apartheid.
L'iniziativa più recente è stata l'accampamento di Mas'ha, organizzato con la cooperazione degli abitanti del paese e i militanti internazionali. L'azione di Zabuba a novembre è stata la prima ad aver attirato l'attenzione del pubblico e si è poi sviluppata nell'iniziativa degli Anarchici Contro il Muro. L'importanza di questa iniziativa non è da sottovalutare; infatti, ha saputo coinvolgere una larga gamma di attivisti israeliani e nel contempo promuovere e sviluppare tra i palestinesi la lotta non-violenta contro il Muro.
Non sarebbe un'esagerazione dire che l'iniziativa degli Anarchici Contro il Muro è in parte responsabile per aver portato sotto gli occhi del mondo la lotta non-violenta contro il Muro.
Ilan (2003).

Su Anarchici Contro il Muro (AATW)
(dal sito di Anarchists Against the Wall)
Chi siamo
Anarchici Contro il Muro (Anarchists Against the Wall - AATW) è un raggruppamento per l'azione diretta che è nato nel 2003 in risposta alla costruzione del muro da parte di Israele sulle terre palestinesi nella Cisgiordania occupata. Il gruppo collabora con i palestinesi in una lotta unitaria popolare contro l'occupazione.
Dalla sua nascita, il gruppo ha partecipato a centinaia di manifestazioni ed azioni dirette contro il muro in particolare e contro l'occupazione in generale in tutta la Cisgiordania. Tutte le attività di AATW in Palestina viene coordinato attraverso i comitati popolari locali, e sono in effetti guidate dai palestinesi stessi.
Perché resistiamo
E' dovere dei cittadini israeliani resistere contro politiche ed azioni immorali che si portano avanti nel loro nome. Crediamo sia possibile fare ben più che semplici manifestazioni all'interno d'Israele o partecipare alle azioni di aiuto umanitario. L'apartheid e l'occupazione non finiranno da soli: finiranno quando diventano ingovernabili ed impossibile da gestire. E' il momento di opporsi fisicamente alle ruspe, all'esercito e all'occupazione.
Una breve storia
Nell'aprile del 2003, a tre anni dall'inizio della Seconda Intifada, un piccolo gruppo di attivisti israeliani, per lo più anarchici e già impegnati in lavoro politico all'interno dei Territori Occupati, formarono Anarchici Contro il Muro. Il gruppo si formò negli ambiti del campo di protesta presso il villaggio di Mas'ha, che era minacciato dal Muro che avrebbe rubato il 96% dei terreni del villaggio, lasciandolo dalla parte "israeliana".
Il campo, in cui partecipavano palestinesi, israeliani ed attivisti internazionali, fu composto di tende erette sui terreni del villaggio destinati ad essere confiscati. Una presenza costante di palestinesi, israeliani ed internazionali fu assicurata per ben 4 mesi e il campo divenne un centro per la disseminazione di informazioni ed una base decisionale a democrazia diretta. Si progettarono diverse azioni dirette, tra cui una che si svolse il 28 luglio 2003 al villaggio di Anin quando attivisti palestinesi, internazionali ed israeliani riuscirono ad aprire un varco nel muro nonostante un'aggressione da parte dell'esercito (si veda l'articolo da Haaretz: http://awalls.org/5_ism_activists_hurt_in_clash_trying_to_tear_down_security_fence).
Alla fine di agosto 2003, mentre si completava la costruzione del muro a Mas'ha, il campo si spostò e occupò il cortile di una casa destinata alla demolizione forzata. Il blocco dei lavori durò due giorni e fu seguito dalla demolizione della casa: ma lo spirito di resistenza che simboleggiò non fu demolito.
Nel 2004, il villaggio di Budrus cominciò a lottare contro il muro, e AATW si unì alle manifestazioni quotidiane. Con la sua persistenza nella mobilitazione, lotta e resistenza della popolazione, il villaggio di Budrus ottenne importanti vittorie.
Senza appellarsi ai tribunali israeliani e utilizzando solo la resistenza popolare, il villaggio riuscì a far indietreggiare il corso del muro e salvare quasi tutti i suoi terreni.
Il successo di Budrus ispirò molti altri villaggi che iniziarono a costruire la resistenza popolare, forse il più grande successo di tutti. Per buona parte dell'anno, quasi ogni villaggio toccato dalla costruzione del muro insorse contro di esso. AATW si unì alle mobilitazioni di ogni villaggio che lo chiedeva.
Nei tempi più recenti, le nostre azioni sono incentrati sul villaggio di Bil'in, a nord-ovest di Ramallah, dove gran parte dei terreni agricoli del villaggio è destinata ad essere confiscata per far spazio al muro e ad una colonia in espansione.
Il nostro ruolo nella lotta
La semplice presenza di cittadini israeliani nelle azioni delle popolazioni palestinesi offre qualche protezione contro le violenze dell'esercito.
Il codice di condotta dell'esercito israeliano cambia radicalmente quando sono presenti cittadini israeliani ed i livelli di violenza sono decisamente più bassi, anche se rimangono severi. Anche se molti attivisti israeliani sono stati feriti durante le manifestazioni - alcuni in modo grave - sono i palestinesi le vere vittime: finora sono stati uccisi 18 manifestanti palestinesi durante le manifestazioni contro il muro, e diverse migliaia sono stati feriti.
L'esercito, insieme al governo israeliano, cerca di porre fine alla resistenza popolare palestinese con ogni forma repressiva. Cerca inoltre di fermare la partecipazione degli attivisti israeliani alla lotta. Sotto le leggi dell'occupazione, è possibile incriminare chi partecipa in una manifestazione. Nel corso degli ultimi anni, gli attivisti AATW sono stati arrestati centinaia di volte, e decine di cause sono state intentate contro di loro.
La repressione legale da parte delle autorità israeliane non è altro che un altro fronte aperto dalle autorità israeliane nel tentativo di reprimere la resistenza.
AATW deve sostenere sempre più spese legali per proteggere la libertà dei suoi attivisti e consentirli di continuare la lotta. Il costo della rappresentazione legale è di oltre US$60.000 e continua a crescere.
Finanziamenti
AATW non riceve alcun finanziamento da alcuno Stato, governo o associazione. Dipendiamo unicamente dalle donazioni da persone di tutto il mondo che vogliono sostenere il nostro apporto alla lotta dei palestinesi per la libertà.
Per i motivi di cui sopra e per coprire le varie spese per trasporti, telefoni, pronto soccorso, striscioni e cartelli, AATW chiede sostegno economico.

sabato 7 dicembre 2013

‘Sentieri in utopia’, la rivoluzione quotidiana



fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/19/libri-sentieri-in-utopia-la-rivoluzione-quotidiana/749449/

 di

Luciano Lanza




Il titolo del celebre libro di Martin Buber indica i percorsi per realizzare dimensioni libertarie già all’interno di questa società. Percorsi apparentemente poco significativi, ma che invece fanno scoprire come sia possibile ‘rivoluzionare’ i rapporti sociali, tralasciando quell’evento che ha caratterizzato il pensiero e l’agire di chi voleva realizzare l’eguaglianza e la libertà. Insomma, la rivoluzione fuori dal mito e immessa nella quotidianità. Un percorso possibile? C’è un termine caduto nell’angolo buio della società, del pensiero, dei ‘sogni’: rivoluzione.
Eh sì, ne è passato di tempo da quando nelle strade e nelle piazze della società occidentale risuonava quella parola. Gridata con veemenza, con rabbia, con passione. Quando l’entusiasmo degli studenti aveva contagiato anche le ‘tute blu’ (obbedienti alle direttive del ‘Partito’) . E così scuole, fabbriche, uffici si ritrovarono investiti da un’ebbrezza…da una brezza tanto adatta a far sventolare le bandiere rossonere dell’anarchia. Ieri e oggi Tempi andati. Ci hanno pensato le ‘bombe di Stato’ e ‘il delirio dei lottarmatisti’ a soffocare quella spinta propulsiva, quel desiderio di cambiamento, quella voglia di voler vivere in ‘una società di liberi ed eguali’. Tempi sepolti.
La mutazione antropologica sviluppatasi negli ultimi trentacinque anni non sembra lasciare spazio al sogno. Tutto deve essere improntato alla brutta realtà che ci circonda. E non è una novità. Già nel primo numero del 1985 nell’editoriale di una rivista anarchica chiamata Volontà si poteva leggere: “… oggi l’idea, il concetto stesso di rivoluzione attraversa una crisi profonda. I segnali che la logica sociale emette non sono certo riconducibili a una valenza rivoluzionaria e perfino le giovani generazioni sembrano tutt’altro che interessate a proposte o tematiche rivoluzionarie”. Allora dobbiamo proprio rassegnarci a questo presente sempre più drammatico fatto di guerre, di sfruttamento sempre più brutale, di diseguaglianze sempre più vistose? Un presente che non ha neppure un’immagine di futuro? La risposta è scontata, ma come uscirne? Certo, gli esiti delle rivoluzioni che si sono susseguite nel corso di Settecento, Ottocento e Novecento non rendono desiderabile quell’evento.
E chi può negarlo? Il presente contiene il futuro? L’anarchico tedesco Gustav Landauer (1870-1919) riteneva che ‘l’anarchia non è cosa del futuro, ma del presente; non è fatta di rivendicazioni, ma di vita’. In questa ottica il cambiamento radicale non è affidato a un evento ‘magico’, ma nasce dalla quotidianità, da relazioni capaci di sottrarsi alla logica dominante. E allora si comprende come l’oggi contenga il domani. Qui però si apre un interrogativo inquietante: il presente in cui siamo immersi lascia spazi per il futuro? Anni fa comparvero sui muri di Milano innumerevoli piccoli manifesti con una sola frase: ‘il futuro non è più quello di una volta’. Frase geniale che illuminava con immediatezza la situazione in cui ci troviamo ancor più immersi oggi. Perché il presente vuole distruggere il desiderio del cambiamento.
Ma andiamo oltre: il futuro che sapremo costruire non è neppure più, non può né deve essere quello pensato da chi abitava il passato. Qui si apre (si spera) una sfida: trovare o ritrovare la capacità di immettere il futuro nelle cose che si fanno nel presente. Immergere la realtà nel ‘sogno’. Sogni nuovi per un sogno antico: essere padroni della propria vita. Vale a dire togliere la rivoluzione dalla dimensione-evento per immetterla nella dimensione quotidiana. I piccoli tanti gesti, i piccoli tanti comportamenti, i piccoli tanti fatti, le piccole tante realizzazioni che creano dimensione comunitaria. Tolta dalla sua visione eroica e taumaturgica la rivoluzione diviene, allora, ‘il piacere dell’utopia’.

L’anarchico e la grillina



fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/29/lanarchico-e-la-grillina/609511/


Ascanio Celestini 29 maggio 2013


Caro Ascanio,
rispetto all‘intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano quando cerca di descrivere la situazione attuale, in riferimento al rapporto dei cittadini con la politica, in particolare quando ritiene che una differenza rispetto al passato sia che i cittadini non hanno più riferimenti politici culturali: ”un elettore del partito comunista sentiva, che poi fosse vero o meno questo è tutto un altro discorso, di avere la stessa visione del mondo del suo segretario e di tutti gli altri appartenenti al partito… Oggi sono molto forti i partiti personali, quelli che si riferiscono a una sola persona” e poi continua con la storia del ”buon senso” e dei discorsi da bar…
Vorrei invitare Ascanio a riflettere su qualche punto.
1) La visione del mondo del vecchio elettore come di quello d’oggi non può essere solo fatta di idee astratte. Altrimenti gli ideali rimangono tali, irrealizzabili, che fa solo fico sostenere. Ad essa (la visione) devono seguire dei progetti e dei fatti coerenti. Ma l’elettore, in passato, nonostante i politici disattendessero le promesse, ha continuato a demandare loro l’incarico di amministrare il Paese, appunto spinto da immobili idee di sinistra, assiomi, principi di derivazione socialista/comunista usati dai politici solo per manipolare. Gli elettori del M5S, almeno credo molti, come quelli che conosco, hanno una capacità critica atipica e rara. Sono informati, e non si limitano a recepire passivamente i ”fatti” veicolati da certa stampa. E non si affidano ai comandi di Grillo  aprioristicamente, perché Grillo infatti non sta dietro alla gestione della cosa pubblica locale, forse un po’ di più dietro a quella nazionale, si, ma non come Demiurgo, piuttosto come collante. E le frasi e gli slogan di cui si serve nei comizi hanno una funzione comunicativa di efficacia, quindi servono a porre l’accento su determinati concetti a volte anche con ironia, e con ironia intendo quel distacco giocoso che vuole far divertire ma anche rivelare una verità amara, portandola talvolta all’estremo, cosa che a lui riesce perfettamente per deformazione professionale.
2) Immagino che faccia riferimento e a Berlusconi e a Grillo. Ma è possibile che non riesca a vedere la differenza tra i due? Dovrebbe frequentare qualche meet-up o seguire le attività degli attivisti anche a livello amministrativo per sentenziare così. All’interno del M5s ci sono molte persone competenti, che non sono nate politici come nessuno del resto, ma che hanno già dato un contributo alla gestione della cosa pubblica, anche solo monitorando le azioni di politici spesso corrotti, senza ricorrere a quel vago buon senso che tutto vuol dire e niente. Capisco che informarsi a questo livello richieda uno sforzo ulteriore, ma come si può pensare di criticare qualcosa che non si conosce veramente? La differenza tra il M5s e la vecchia politica invece è che prima col principio assiomatico della rappresentanza si delegava, e l’elettorato non osava mettere in discussione l’operato del partito, che siccome è stato fatto da uomini per lo più corrotti, ha portato l’Italia allo sfacelo. Quel sistema ha fallito. Bisogna prenderne atto ed evitare di cadere nel tranello delle nostalgie, che non possono farci andare avanti. Ora finalmente una parte importante del popolo ha compreso l’importanza di vigilare sull’amministrazione della cosa pubblica. In effetti cos’altro dovremmo aspettarci dai partiti o movimenti se non fare il bene del Paese attraverso fatti coerenti con le idee propagandate? Gli elettori in passato si aspettavano di sentirsi cullare tra le braccia di mamma partito, con qualche ninna nanna calmante fatta di slogan e luoghi comuni privi di riscontro pratico.
3) Quindi, il punto per Ascanio è l’importanza del modello rappresentativo? Ricordo che negli ultimi decenni siamo stati derubati da quei partiti che ci avrebbero dovuto rappresentare. E in effetti anche io in passato votai per la sinistra, quando non c’erano alternative e soprattutto quando mi bastava l’idea che il partito si ispirasse a degli ideali teorici. Poi per fortuna ho capito che la cosa più importante è la pratica, l’agire, quindi la coerenza. Purtroppo in Italia molti elettori pigri e ”ignoranti” si sono nascosti dietro a un’ideologia che peraltro hanno conosciuto tra frasi demagogiche e propaganda mediatica. La vera demagogia e il populismo sono quelli ai quali ci hanno assoggettato per decenni sindacalisti, politici e talvolta docenti.
4) Solamente una partecipazione attiva potrà salvarci dal capitalismo, dal liberismo e dalla corruzione. Io credo che l’autodeterminazione sia un principio democratico fondamentale. E solo con la partecipazione si potranno combattere i pesci grossi.
Concludo con l’augurio che molti italiani ammetteranno prima o poi, senza vergognarsene, che un nostro grande limite è quello  di saper criticare bene e basta. Infatti quando arriva l’alternativa migliore, che abbiamo appoggiato fino a prima che vincesse, subito le spariamo contro, perché a noi piace solo criticare e non metterci in gioco veramente. Punti di vista?
Con rispetto, C.
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Gentile C.,
cerco di rispondere alla sua lettera, ma prima devo chiarire un punto. Io non credo nei partiti. Ma non perché siano stati occupati da persone disoneste. Io non credo nei partiti perché non credo nella delega. Un politico onesto è certamente migliore di uno disonesto, ma fa parte di una struttura che è storicamente superata.
Rispetto a ciò che vedremo dopo la fine della democrazia fondata sulla rappresentanza ci sono due possibilità che sono l’una l’opposto dell’altra come il bianco rispetto al nero: o la democrazia diretta, o una forma moderna di tirannia. Probabilmente vivremo in paesi grigi dove le due condizioni coabiteranno, alle volte ignorandosi reciprocamente, altre volte entrando in conflitto.
Quando indico il militante comunista degli anni ’50 che sentiva di avere una visione comune al segretario del Pci, parlo di una relazione che rendeva possibile l’esistenza dell’istituzione partito. Non lo faccio in maniera nostalgica. Dico semplicemente che i partiti hanno bisogno di un collante ideologico. Per ideologia non ne intento una in particolare. Parlo di una visione del mondo. Una cosa che ti permettere di immaginare un altro mondo possibile e di lavorare, tutti nella stessa direzione, per realizzarlo. Le ripeto che io non ho mai creduto che quell’istituzione fosse la migliore possibile, né credo all’idea della rappresentanza. Non ho quella visione del mondo. Anche io ho sempre parlato dell’importanza dell’autorganizzazione (guardi il mio documentario Parole Sante sui Precariatesia di Roma o i tanti articoli che ho scritto sui No Tav, No Dal Molin, …).
Credo che sia possibile e sensato fare politica solo a livello territoriale dove la Politica sta alla Polis come il Cittadino alla Città. Una città che non sia tanto grande da diventare un labirinto, né tanto piccola da diventare una gabbia. La democrazia diretta è possibile solo in territori ristretti. Pensare di portare la democrazia diretta a livello regionale, nazionale o sovranazionale non è un’utopia, ma una sciocchezza. I partiti sono morti non soltanto perché sono abitati da disonesti (forse è il contrario), ma perché s’è storicamente disciolto quel vincolo ideologico che li sosteneva. Questo è valido sia per i rappresentanti onesti che per quelli disonesti. 
Ma detto questo non credo che ciò che è accaduto nei decenni passati sia da denigrare e da buttare via. Storicamente ha avuto una grande importanza. Sarebbe come dire che erano dei poveri scemi quelli che accendevano il fuoco con le pietre e che noi siamo molto più intelligenti perché abbiamo l’accendino, o addirittura cuociamo la pasta sul fornello a induzione. Siamo arrivati all’induzione perché siamo partiti dalle pietre focaie. Quello che è successo nei decenni passati non è frutto di idee astratte.
E poi cosa sono le idee astratte? L’autogestione di una fabbrica è un’idea astratta? Le lotte per avere asili e consultori sono idee astratte? Il superamento dell’istituzione manicomiale con la fondazione di presidi territoriali sono idee astratte? La lotta contro un’istituzione criminale come il carcere è un’idea astratta? I proletari in divisa che entravano nell’esercito per contrastarne la violenza è un concetto astratto? È un’idea astratta la contrapposizione all’imposizione del cottimo in fabbrica? Lo sa che le donne avevano stipendio e pensione da donna fino a pochi anni fa? Pensa che sia un’astrazione aver conquistato questi diritti? La legge sull’aborto e il divorzio, lo statuto dei lavoratori e il S.S. nazionale sono astrazioni? Lei scrive che “gli elettori in passato si aspettavano di sentirsi cullare tra le braccia di mamma partito, con qualche ninna nanna calmante fatta di slogan e luoghi comuni privi di riscontro pratico”. Ma di chi sta parlando? Lo sa che nelle città del triangolo industriale gli operai già all’inizio degli anni sessanta contestavano il PCI e i sindacati. Lo sa cosa è stata Piazza Statuto nel ’62?
E poi lo sa che a sinistra del PCI c’è stato un mondo di attivisti politici che hanno fatto battaglie territoriali fin dalla fondazione di Livorno? Sa cos’erano gli Arditi del Popolo? E Bandiera Rossa ai tempi della Resistenza? Ha presente cosa sono stati per questo paese gli scritti sul Politecnico, su Quaderni Piacentini e Lotta Continua? Lotta Continua in particolare ha ospitato intellettuali come Goffredo Fofi, Adriano Sofri, Erri De Luca, Marino Sinibaldi, Guido Crainz, Enrico Deaglio, Alexander Langer, Marco Revelli, Mauro Rostagno… Il lavoro di LC era un lavoro territoriale. Non stavano chiusi in una redazione a commentare il Capitale di Marx. Era gente che lavorava con studenti e operai, che ha aperto una discussione seria su molti argomenti concreti come il carcere e l’ambiente molto prima che diventassero argomenti popolari (oddio.. del carcere oggi non si parla ancora.. o se ne parla a vanvera.. comunque..). Molti sono stati arrestati per questo.
Si informi anche su quelli che morirono in piazza per idee “astratte”, ragazzi come Piero Bruno che manifestava la propria solidarietà col popolo dell’Angola. Lei scrive che “l’elettorato non osava mettere in discussione l’operato del partito, che siccome è stato fatto da uomini per lo più corrotti, ha portato l’Italia allo sfacelo. Quel sistema ha fallito”. Ebbene sono decenni che c’è gente che ha smesso di credere (o non ci ha mai creduto) a quel sistema. Tutto ciò esiste molto prima del web. Quando Grillo conduceva Fantastico con Loretta Goggi, un numero enorme di compagni venivano arrestati secondo il teorema Calogero che “Visto che non si riesce a prendere il pesce, bisogna prosciugare il mare”. Erano studenti e professori. Molti di loro rimarranno mesi in galera. Alcuni ci staranno per anni senza aver commesso alcun reato. Il PCI era uno degli sponsor di quella retata fascista perché aveva visto crescere un’area vasta alla sua sinistra e cercava di riprendersi il copyright del conflitto sociale.
Lei mi scrive che capisce “che informarsi a questo livello richieda uno sforzo ulteriore” come dire: chi critica il nostro movimento.. evidentemente è un’ignorante che non ci conosce. Se parla di me quando parla di quelli a cui “piace solo criticare e non mettersi in gioco veramente”, forse anche lei dovrebbe informarsi un po’.
In un incontro che organizzammo quattro anni fa sui materiali video di documentazione prodotti da comitati e presidi autorganizzati, dopo un compagno della Val Susa parlò un licenziato dell’Alitalia. Disse che era contento di sentire che, dopo il movimento nato in Alitalia.. c’erano anche altri che incominciavano a muoversi. Gli altri che partecipavano al dibattito gli hanno fatto presente che da anni facevano quello che in Alitalia era appena iniziato… Certe volte pensiamo di essere i primi a ragionare in maniera concreta su certi argomenti (tipo la “capacità critica atipica e rara” di cui parla lei). Lo pensiamo in buona fede, ma capita di farlo perché non sappiamo che prima di noi molti lo hanno già fatto.
Davide Lazzaretti venne ammazzato nel 1878. Era un visionario, ma dette vita ad un esperimento collettivistico che, nonostante lui fosse religioso e persino invasato, dette fastidio sia allo Stato che alla Chiesa. Per questo fu fatto fuori. Dopo la sua morte l’esperimento cessò, ma quelli che ne fecero parte divennero i fondatori di molte cooperative nella Toscana di fine ‘800. Di esperienza in esperienza potremmo andare indietro fino alla Comune di Parigi, la Repubblica romana… la rivolta di Spartaco.
Gentile C, a tutto questo aggiungo che io non appartengo a nessun partito. Non ho tessere e non sono nella cricca o nella casta. Non soltanto non ho appoggi da partiti e sindacati, nemmeno della cosiddetta sinistra radicale. Non sono un comunista. Io sono anarchico. Non mi interessa che il popolo vigili sull’amministrazione pubblica. Io non credo che il popolo debba essere amministrato da qualcuno. Io voglio il superamento di questa democrazia, non che venga amministrata decentemente. Questo era il dibattito negli anni ’60 rispetto ai manicomi. Qualcuno voleva umanizzarli, qualcun altro cancellarli. Si umanizza un’istituzione disumana solo cancellandola. Il modello attuale è come una vecchia macchina che consuma tanto e inquina. Qualcuno vorrebbe sostituirla con un’auto ecologica. Io (e molti altri come me) non voglio l’automobile.
Ascanioas

lunedì 2 dicembre 2013

Comunicato di solidarietà



'l'USI-PR e il gruppo FAI Antonio Cieri esprimono la propria solidarietà ai compagni che oggi manifestavano presso Iren Parma e sono poi stati portati in questura a sirene spiegate con un esagerato spiegamento di forze da parte della polizia della questura di Parma. La richiesta era l'incontro di un dirigente per la garanzia di un chilovatt e acqua per chi non riesce a pagare le bollette e attualmente invece subisce un distacco immediato di tutte le utenze, trovandosi così in totale mancanza del minimo necessario per vivere dignitosamente.
Non solo nessuno ha incontrato i manifestanti ma sono state addirittura mandate camionette e manganelli contro manifestanti pacifici e coraggiose donne straniere, in alcuni casi anziane malate, attualmente in ospedale per le percosse. La violenza repressiva dello stato a servizio di chi fa pagare con le tasse i debiti e privatizza i profitti. '





RIPORTIAMO INTEGRALMENTE IL COMUNICATO DEI COMPAGNI DI "RETE DIRITTI IN CASA PARMA":


Venerdì 29 novembre si è tenuto un altro importante passaggio di lotta a Parma.
Nella mattinata circa un centinaio di persone tra attivisti dell’Assemblea permanente No Inceneritori, famiglie sotto sfratto e militanti della Rete Diritti in Casa si sono dati appuntamento presso la sede cittadina di Iren, la multiutility che gestisce oltre ai rifiuti e all’inceneritore anche  le erogazioni di acqua, luce e gas.
L’obbiettivo comune dei manifestanti, oltre alla lotta contro l’inceneritore, era di denunciare i continui distacchi delle utenze per gli utenti in morosità incolpevole e l’esosità delle tariffe applicate da IREN che a Parma tra l’altro è monopolista per quanto riguarda l’erogazione dell’acqua. Da quando si è assistito alla trasformazione delle ex municipalizzate in SPA si è avuto un continuo aumento delle tariffe che ha reso insostenibile l’accesso per tante persone a servizi fondamentali oggi gestiti nell’esclusivo interesse d’impresa con l’unico criterio del profitto.
Le rivendicazioni sono chiare e limpide:
L’avvio immediato di una moratoria sui distacchi per morosità colpevole;
L’introduzione di nuovi piani tariffari, tariffe sociali e sistemi etici di rateizzazione dei pagamenti sviluppati tenendo conto del reddito e della composizione dei nuclei famigliari, al fine di garantire il diritto d’accesso ai servizi senza penalizzare ulteriormente i soggetti più deboli.  
L’erogazione di un servizio minimo garantito di utenze a tutti (50 l di acqua giornalieri per abitante, come stimato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, 1 kw di elettricità e gas in base alla metratura) a salvaguardia della sussistenza e della dignità della persona, oltre che della salute e dell'igiene pubblica.
Lo stop alla privatizzazione di servizi indispensabili per la sopravvivenza, verso una gestione sotto il controllo popolare diffuso con strumenti di democrazia diretta, seguendo la volontà espressa chiaramente dal referendum contro la privatizzazione dell’acqua.
Il presidio è stato vivace e combattivo, al megafono si sono susseguiti diversi interventi di persone che hanno espresso la loro rabbia per la grave situazione economica che li costringe a subire sfratti e tagli alle utenze.  . I manifestanti chiedevano un incontro urgente con uno dei dirigenti IREN, per  fissare l’avvio di un tavolo di confronto, a fronte della disponibilità espressa telefonicamente dal presidente della commissione ambiente del Comune. Da parte di Iren c’è stata una chiusura totale a questa richiesta e, provocatoriamente, qualcuno dei vertici ha anche disposto la chiusura degli sportelli nonostante la normale attività non fosse comunque impedita. Alle 14,15 , poco dopo la chiusura dell’apertura al pubblico della sede, uno sproporzionato dispiegamento di forze di polizia(praticamente tutte le forze in servizio a Parma) e di alcuni carabinieri ha prelevato a forza i componenti del presidio che hanno deciso di resistere caricandoli su diversi mezzi per poi trasferirli a sirene spiegate in questura. Per tre donne sotto sfratto si è reso necessario il ricovero all’ospedale, una per un malore, altre due per botte prese dai poliziotti che le hanno poi piantonate in ospedale.
Per tutti identificazione, foto segnalazione e impronte digitali oltre a denuncia per interruzione pubblico servizio,invasione di edifici, manifestazione non autorizzata e violenza privata.  Le valutazioni politiche sul quanto accaduto è per noi  chiaro: . l’intervento sproporzionato rispetto ai fatti si spiega con il fatto che il questore ha avuto indicazioni precise di dare una “lezione” ai movimenti che a parma stanno lievitando e che sono attivi su più fronti con crescente consenso sociale. C’è un’evidente paura che la questione sociale e relativo conflitto diventino realtà potente e lor signori vorrebbero fermare con queste patetiche intimidazioni lo sviluppo e la diffusione a diversi ambiti (dalla casa ai servizi al lavoro) delle lotte.
 Una valutazione a parte deve essere fatta anche sull’obiettivo scelto dai manifestanti: l’IREN. Questa multinazionale dei servizi che specula su bisogni essenziali alla vita di tante persone gode evidentemente degli appoggi giusti a difesa dei propri sporchi interessi. Pensiamo di aver toccato il tasto giusto affrontando per la prima volta anche la questione dei servizi ex municipalizzati (che si unisce alla lotta contro l’inceneritore). Riteniamo che l’isterica reazione a un presidio determinato ma pacifico sia dovuta al fatto che i capi della SPA non gradiscono affatto l’apertura di un altro fronte che rischia di avere un consenso diffuso visto che i continui  rincari sulle bollette riguardano tutti, dai disoccupati ai lavoratori. Noi  auspichiamo che questo fronte di lotta si estenda : IREN controlla i servizi anche di Reggio Emilia Piacenza, Modena, Genova e Torino e praticamente tutte le città hanno privatizzato le ex municipalizzate. La lotta per il reddito, anche se indiretto, passa anche da qui e si connette con le lotte contro le privatizzazioni, offrendo, come per la lotta per la casa, non poche possibilità di ricomposizione.

Festa antifascista 20 ottobre 2018 via Testi 2 ore 18.30

Non è solo una grande festa antifascista, è una chiamata a tutte le forze antifasciste, quelle che si unirono attorno al più alto significa...