venerdì 17 febbraio 2012

Il rogo del filosofo 412 anni fa, Giordano Bruno viene arso vivo in Campo dei Fiori a Roma. L'Inquisizione aveva bollato le sue idee come eretiche e pericolose


fonte: http://daily.wired.it/news/cultura/2012/02/17/rogo-filosofo-giordano-bruno-13673.html



“Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla”. Sono le parole pronunciate da Giordano Bruno di fronte al tribunale ecclesiastico che lo condanna a morte. Nel corso della sua vita il filosofo e scrittore aveva attraversato l'Italia e mezza Europa per sfuggire alle accuse di eresia e accrescere il suo sapere. Di lui ci restano molte opere, e il racconto della sua tragica fine, il 17 febbraio 1600

Perché è proprio durante i lunghi interrogatori condotti dagli inquisitori che la storia di Bruno viene a galla, e arriva fino a noi. Se fosse rimasto nel piccolo villaggio di Nola, dove era nato nel 1548 con il nome di Filippo, il futuro filosofo forse non avrebbe mai potuto conoscere i testi di Aristotele e Averroè. A cambiare il destino di Giordano è un prete del paese, che insegna al giovane a leggere e scrivere: e il suo mondo cambia prospettiva. Bruno lascia il suo paese all'età di 14 anni e si trasferisce a Napoli per studiare lettere, logica e dialettica. È qui che il suo pensiero viene plasmato da vari maestri di scuola averroista e agostiniana. Essendo deciso più di ogni altra cosa a proseguire i propri studi, sceglie di entrare in convento all'età di 17 anni e assumere il nome Giordano

Ma l'abito da frate domenicano va decisamente stretto a Bruno, che fin dai primi anni trascorsi nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli dà prova di non sopportare i dettami imposti dallaControriforma, come il culto della Madonna. Come lo stesso Bruno racconta più tardi al processo, da giovane aveva rimosso tutte le immagini dei santi dalla sua cella, conservando solo il crocifisso. 

A Napoli non ci vuole molto perché il suo pensiero poco ortodosso balzi davanti agli occhi di tutti. Come apprendono gli inquisitori, Bruno invita calorosamente un novizio a gettare via la sua copia dellaHistoria delle sette allegrezze della Madonna e a sostituirla con qualcosa di meglio. Ma si spinge ben oltre, dato che legge di nascosto le opere proibite di Erasmo da Rotterdam e dichiara apertamente di avere qualche dubbio sul dogma della Trinità. 

La prima accusa di eresia non tarda a arrivare. Nel 1576 fugge a Roma, che sotto il pontificato del vecchio e ormai debole papa Gregorio XIII era piombata nel caos più totale. Visto che per le strade la gente si uccideva con fin troppa facilità, Bruno ha la saggia idea di fare i bagagli e ripartire. Riprende il nome di Filippo per una breve lasso di tempo e peregrina incessantemente tra Savona, Torino eVenezia

Dopo alcune avventure burrascose in Svizzera e Francia, si trasferisce in Inghilterra, dove ha il coraggio di difendere la teoria copernicana durante una lezione a Oxford: l'ateneo non gradisce affatto la cosa e lo caccia malamente. Nel 1586 Bruno raggiunge la Germania, dove colleziona una scomunica da parte della chiesa Luterana. Tuttavia, le sue opere – davvero poco ortodosse – iniziavano a circolare per tutta Europa e il suo nome acquisisce grande fama. 

La stessa fama che, purtroppo, segna la sua fine. Nel 1591 Bruno accetta l'invito del patrizio venezianoGiovanni Mocenigo, che lo voleva come suo maestro nella Serenissima. Ma quando il filosofo accenna al fatto di voler tornare in Germania per pubblicare l'ultima delle sue opere, il Mocenigo non la prende troppo bene e lo denuncia come eretico, consegnandolo nelle mani dell'Inquisizione. La notizia giunge all'orecchio degli inquisitori di Roma, che con molta probabilità già conoscevano le opere di Bruno. Così, nel 1593 il filosofo viene estradato dalla Serenissima e consegnato al Sant'Uffizio. Il lungo processo a suo carico va avanti per 7 anni, ma nonostante le torture e alcuni cedimenti, alla fine il nolano non ritratta le sue idee sull'infinità dell'universo e l'eliocentrismo. 

Tanto bastava all'Inquisizione, che lo bolla come eretico e ateo. L'8 febbraio 1600 il tribunale legge la sentenza di condanna al rogo. Nove giorni dopo, Bruno viene condotto in Campo de’ Fiori con la lingua serrata da una mordacchia, in modo che non possa parlare di fronte alla folla prima di essere denudato e arso vivo. Le sue ceneri, in segno di spregio, vengono gettate nel Tevere. 



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