ARTICOLO DI "UMANITA' NOVA" N.19 ANNO 2012
Nel
nostro paese la situazione politica e sociale mostra chiari segni di
un’involuzione autoritaria su scala globale. Il dispiegarsi di politiche
disciplinari in risposta alle questioni sociali è segno che il tempo dei
compromessi, delle socialdemocrazie sta tramontando. Potremmo dover fare
i conti con il rischio che si impongano regimi decisamente autoritari.
La criminalizzazione dei movimenti sociali e degli anarchici, prepara il
terreno e nuovi dispositivi repressivi: nuove leggi, nuovi procedimenti
penali, una sempre più forte torsione delle normative vigenti, un sempre
maggior controllo militare del territorio.
L'immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la
dice lunga su quali sono le intenzioni dell'oligarchia al potere. Un
atto vile, di terrorismo indiscriminato, contro delle giovani donne,
antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di
lotta armata, magari con origini greche o con contorno mafioso, con
l'obiettivo palese della realizzazione dell'unità di tutti gli
schieramenti in difesa dello Stato, un'unità che abbiamo visto all'opera
negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali,
dell'arretramento sociale e culturale del paese.
Anche il ferimento dell’AD di Ansaldo nucleare e la rivendicazione
inviata al Corsera dal nucleo “Olga” della FAInformale dimostrano come
azione e comunicazione si intreccino e si confondano in un gioco di
specchi infinito e deformante. Occorre osservare con attenzione per
coglierne l’intima trama.
I media, gli stessi che minimizzano da sempre la ferocia della guerra
che l’esercito italiano combatte in Afganistan, hanno sparato a zero
contro il movimento anarchico, quel movimento che non si sottrae alle
lotte sociali, che è in prima fila nei movimenti per la difesa
ambientale, contro la guerra e il militarismo, contro le leggi razziste
e le politiche securitarie nel nostro paese.
Giornali, radio e televisioni, che nell’immediato non avevano alzato i
toni, si scatenano dopo la rivendicazione.
Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui
indirizzare l'attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono
riusciti negli anni '80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza
dei movimenti del decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti
ed indistintamente, la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni
erba un fascio, comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e
contrapposizioni, così oggi c'è chi intende rispolverare i vecchi arnesi
della criminalizzazione preventiva.
D'altronde la situazione per governi e padroni non è facile: devono far
digerire misure sempre più indigeste e in loro cresce la paura di una
ribellione sociale.
Il ferimento di Adinolfi è stato colto al volo per rilanciare, dopo le
varie informative dei servizi segreti sul pericolo
“anarco-insurrezionalista”, l'incombenza della minaccia terroristica di
matrice anarchica, collegandolo al malcontento sociale crescente, al
movimento NoTav e, in generale, contro ogni forma di opposizione sociale.
Se l'operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi
sempre nuove operazioni repressive.
In una situazione dove l'aggressione alla qualità della vita della
popolazione si sta intensificando, soprattutto nel settore del lavoro
dipendente, del precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove
ci sarebbe bisogno di tutta la partecipazione, di tutta l'intelligenza e
della capacità collettiva per organizzare risposte incisive, promuovere
lotte, sviluppare iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle
forme autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare
inevitabile doversi misurare con chi pensa che un gruppo,
un'organizzazione, dura, combattente, clandestina, possa ottenere
risultati efficaci, con chi pensa di avere la risposta in tasca. Come il
gruppo che ha firmato l'attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare
rivendicando la sua appartenenza alla federazione anarchica informale.
Soprattutto se l'enfasi mediatica con il quale vengono riportate queste
azioni è funzionale al coinvolgimento di tutto il movimento anarchico in
un processo di criminalizzazione generale, che ha investito pesantemente
anche la Federazione Anarchica Italiana.
Non per caso il testo del nucleo “Olga” viene pubblicato integralmente
dal Corriere della sera, che decide in tal modo di fare da megafono alla
FAInformale. Viene da chiedersi il perché. La risposta non è difficile.
Il comunicato, dopo le prime righe sulla questione nucleare, è dedicato
alla propaganda: buona parte del documento è un attacco violentissimo al
movimento anarchico nelle sue tante componenti.
Tutti i quotidiani, i GR e i telegiornali dedicano ampio spazio ad un
testo in cui si sostiene che gran parte del movimento anarchico fa
proprio un anarchismo “ideologico e cinico, svuotato da ogni alito di
vita”. Non solo. Secondo gli informali gli anarchici impegnati nelle
lotte sociali “lavorerebbero per il rafforzamento della democrazia”.
Ossia per il mantenimento dell’ordine gerarchico.
Chi legge ha l’impressione che lo scopo reale dell’azione non fosse
tanto un monito ai signori dell’atomo, quanto l’ottenere l’audience
adatta a far sapere a tutti la propria opinione sul movimento anarchico.
L’azione degli anarchici è descritta come mera attività ludica, >
un’involuzione autoritaria su scala globale. Il dispiegarsi di politiche
disciplinari in risposta alle questioni sociali è segno che il tempo dei
compromessi, delle socialdemocrazie sta tramontando. Potremmo dover fare
i conti con il rischio che si impongano regimi decisamente autoritari.
La criminalizzazione dei movimenti sociali e degli anarchici, prepara il
terreno e nuovi dispositivi repressivi: nuove leggi, nuovi procedimenti
penali, una sempre più forte torsione delle normative vigenti, un sempre
maggior controllo militare del territorio.
L'immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la
dice lunga su quali sono le intenzioni dell'oligarchia al potere. Un
atto vile, di terrorismo indiscriminato, contro delle giovani donne,
antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di
lotta armata, magari con origini greche o con contorno mafioso, con
l'obiettivo palese della realizzazione dell'unità di tutti gli
schieramenti in difesa dello Stato, un'unità che abbiamo visto all'opera
negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali,
dell'arretramento sociale e culturale del paese.
Anche il ferimento dell’AD di Ansaldo nucleare e la rivendicazione
inviata al Corsera dal nucleo “Olga” della FAInformale dimostrano come
azione e comunicazione si intreccino e si confondano in un gioco di
specchi infinito e deformante. Occorre osservare con attenzione per
coglierne l’intima trama.
I media, gli stessi che minimizzano da sempre la ferocia della guerra
che l’esercito italiano combatte in Afganistan, hanno sparato a zero
contro il movimento anarchico, quel movimento che non si sottrae alle
lotte sociali, che è in prima fila nei movimenti per la difesa
ambientale, contro la guerra e il militarismo, contro le leggi razziste
e le politiche securitarie nel nostro paese.
Giornali, radio e televisioni, che nell’immediato non avevano alzato i
toni, si scatenano dopo la rivendicazione.
Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui
indirizzare l'attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono
riusciti negli anni '80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza
dei movimenti del decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti
ed indistintamente, la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni
erba un fascio, comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e
contrapposizioni, così oggi c'è chi intende rispolverare i vecchi arnesi
della criminalizzazione preventiva.
D'altronde la situazione per governi e padroni non è facile: devono far
digerire misure sempre più indigeste e in loro cresce la paura di una
ribellione sociale.
Il ferimento di Adinolfi è stato colto al volo per rilanciare, dopo le
varie informative dei servizi segreti sul pericolo
“anarco-insurrezionalista”, l'incombenza della minaccia terroristica di
matrice anarchica, collegandolo al malcontento sociale crescente, al
movimento NoTav e, in generale, contro ogni forma di opposizione sociale.
Se l'operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi
sempre nuove operazioni repressive.
In una situazione dove l'aggressione alla qualità della vita della
popolazione si sta intensificando, soprattutto nel settore del lavoro
dipendente, del precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove
ci sarebbe bisogno di tutta la partecipazione, di tutta l'intelligenza e
della capacità collettiva per organizzare risposte incisive, promuovere
lotte, sviluppare iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle
forme autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare
inevitabile doversi misurare con chi pensa che un gruppo,
un'organizzazione, dura, combattente, clandestina, possa ottenere
risultati efficaci, con chi pensa di avere la risposta in tasca. Come il
gruppo che ha firmato l'attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare
rivendicando la sua appartenenza alla federazione anarchica informale.
Soprattutto se l'enfasi mediatica con il quale vengono riportate queste
azioni è funzionale al coinvolgimento di tutto il movimento anarchico in
un processo di criminalizzazione generale, che ha investito pesantemente
anche la Federazione Anarchica Italiana.
Non per caso il testo del nucleo “Olga” viene pubblicato integralmente
dal Corriere della sera, che decide in tal modo di fare da megafono alla
FAInformale. Viene da chiedersi il perché. La risposta non è difficile.
Il comunicato, dopo le prime righe sulla questione nucleare, è dedicato
alla propaganda: buona parte del documento è un attacco violentissimo al
movimento anarchico nelle sue tante componenti.
Tutti i quotidiani, i GR e i telegiornali dedicano ampio spazio ad un
testo in cui si sostiene che gran parte del movimento anarchico fa
proprio un anarchismo “ideologico e cinico, svuotato da ogni alito di
vita”. Non solo. Secondo gli informali gli anarchici impegnati nelle
lotte sociali “lavorerebbero per il rafforzamento della democrazia”.
Ossia per il mantenimento dell’ordine gerarchico.
Chi legge ha l’impressione che lo scopo reale dell’azione non fosse
tanto un monito ai signori dell’atomo, quanto l’ottenere l’audience
adatta a far sapere a tutti la propria opinione sul movimento anarchico.
L’azione degli anarchici è descritta come mera attività ludica, >
“ascoltare
musica alternativa” mentre il “nuovo anarchismo” nasce dal
gesto di “impugnare la pistola”, dalla scelta della “lotta armata”.
Il mezzo annebbia a tal punto il fine che i supereroi da cartone
animato, che non amano “la retorica violentista ma con piacere” hanno
“armato” le proprie mani non si rendono conto che nel nostro paese il
nucleare è al momento uscito di scena, grazie alle lotte e ai movimenti
popolari.
Azioni dirette, senza delega, concrete e capaci di mostrare che è
possibile prendere in mano il proprio destino, lottare contro i giganti
dell’atomo e sconfiggerli, come a Scanzano Jonico e nei blocchi dei
trasporti nucleari tra l’Italia e la Francia, dove gli anarchici erano
in prima fila.
Ogni giorno gli anarchici partecipano alle lotte per difesa del
territorio e per l’autogoverno, contro i padroni per la realizzazione di
margini di autonomia dei lavoratori dalla schiavitù salariata, contro la
guerra e le produzioni militari, per una società senza eserciti e
frontiere, contro il razzismo, il sessimo, la guerra ai poveri e alle
donne.
Gli anarchici, che subiscono lo sfruttamento e l’oppressione come tutti,
a fianco di ogni altro sfruttato ed oppresso, si battono contro lo stato
e il capitalismo per creare le condizioni per abbatterli, mirando a
spezzare l’ordine materiale e, insieme, quello simbolico, consapevoli
che non basta distruggere ma occorre saper costruire. Costruire senza
timore che la casa venga abbattuta, sapendo che ogni spazio liberato,
anche per pochi momenti, diviene luogo di sperimentazioni dove tanti
assaporano il gusto di una libertà che non è astrazione poetica ma
concreta edificazione di un ambito politico non statale.
Azioni che prefigurano sin da ora relazioni politiche e sociali di segno
diverso, che non si limitano al “sogno di un’umanità libera dalla
schiavitù” perché il percorso di libertà non è un “sogno” ma la
scommessa quotidiana dentro le realtà sociali in cui siamo forzati a
vivere e che vogliamo contribuire a cambiare. Non da soli. Mai da soli,
perché l’umanità è fatta di persone in carne ed ossa, perché agire in
nome di un’astratta “umanità” è tipico degli stati, delle religioni,
persino del capitalismo che promette senza mantenere benessere e
felicità. Non degli anarchici.
La pratica della libertà attraverso la libertà può essere contagiosa ma
non si può certo imporre.
Gli estensori del comunicato rifuggono il “consenso” e cercano
“complicità”. Se ne infischiano del fine e pensano solo al mezzo, di
fatto rinunciando ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale anarchica.
Il loro linguaggio e la loro pratica sono un cocktail di pratica
avanguardista e retorica estetizzante.
Inevitabile che i media dessero loro ampio spazio, seguendo linee
interpretative a volte divaricate, altre volte intrecciate. La maggior
parte degli organi di informazione ha imbastito teoremi per mettere in
relazione le lotte sociali e la FAI informale, in un rapporto quasi
gesto di “impugnare la pistola”, dalla scelta della “lotta armata”.
Il mezzo annebbia a tal punto il fine che i supereroi da cartone
animato, che non amano “la retorica violentista ma con piacere” hanno
“armato” le proprie mani non si rendono conto che nel nostro paese il
nucleare è al momento uscito di scena, grazie alle lotte e ai movimenti
popolari.
Azioni dirette, senza delega, concrete e capaci di mostrare che è
possibile prendere in mano il proprio destino, lottare contro i giganti
dell’atomo e sconfiggerli, come a Scanzano Jonico e nei blocchi dei
trasporti nucleari tra l’Italia e la Francia, dove gli anarchici erano
in prima fila.
Ogni giorno gli anarchici partecipano alle lotte per difesa del
territorio e per l’autogoverno, contro i padroni per la realizzazione di
margini di autonomia dei lavoratori dalla schiavitù salariata, contro la
guerra e le produzioni militari, per una società senza eserciti e
frontiere, contro il razzismo, il sessimo, la guerra ai poveri e alle
donne.
Gli anarchici, che subiscono lo sfruttamento e l’oppressione come tutti,
a fianco di ogni altro sfruttato ed oppresso, si battono contro lo stato
e il capitalismo per creare le condizioni per abbatterli, mirando a
spezzare l’ordine materiale e, insieme, quello simbolico, consapevoli
che non basta distruggere ma occorre saper costruire. Costruire senza
timore che la casa venga abbattuta, sapendo che ogni spazio liberato,
anche per pochi momenti, diviene luogo di sperimentazioni dove tanti
assaporano il gusto di una libertà che non è astrazione poetica ma
concreta edificazione di un ambito politico non statale.
Azioni che prefigurano sin da ora relazioni politiche e sociali di segno
diverso, che non si limitano al “sogno di un’umanità libera dalla
schiavitù” perché il percorso di libertà non è un “sogno” ma la
scommessa quotidiana dentro le realtà sociali in cui siamo forzati a
vivere e che vogliamo contribuire a cambiare. Non da soli. Mai da soli,
perché l’umanità è fatta di persone in carne ed ossa, perché agire in
nome di un’astratta “umanità” è tipico degli stati, delle religioni,
persino del capitalismo che promette senza mantenere benessere e
felicità. Non degli anarchici.
La pratica della libertà attraverso la libertà può essere contagiosa ma
non si può certo imporre.
Gli estensori del comunicato rifuggono il “consenso” e cercano
“complicità”. Se ne infischiano del fine e pensano solo al mezzo, di
fatto rinunciando ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale anarchica.
Il loro linguaggio e la loro pratica sono un cocktail di pratica
avanguardista e retorica estetizzante.
Inevitabile che i media dessero loro ampio spazio, seguendo linee
interpretative a volte divaricate, altre volte intrecciate. La maggior
parte degli organi di informazione ha imbastito teoremi per mettere in
relazione le lotte sociali e la FAI informale, in un rapporto quasi
simbiotico.
Gli anarchici sono serrati in una morsa interpretativa: da un lato
descritti come “terroristi” o loro tifosi, dall’altro come burocrati
inoffensivi.
Una morsa che probabilmente sarà gradita a chi si compiace del gesto, vi
si appaga in un’estasi esistenziale in cui il bagliore di un attimo
compensa il grigiore di una quotidianità spesa nel silenzio e
nell’attesa di un’altra occasione per far salire l’adrenalina. “Per
quanto lieve sia questo bagliore – scrivono – la qualità della vita ne
sarà sempre arricchita”. Tra un pacco postale e una pallottola alle
gambe potranno crogiolarsi nella fama di carta che i media pagati da
padroni e partiti vorranno regalare loro.
Al di là dell’uso mediatico dell’attentato ad Adinolfi, resta il dato
politico del riproporsi di un avanguardismo armato, che oltre le
seduzioni semantiche, ricalca una parabola da partitino autoritario, che
culla l’illusione di potersi ergere a guida di quanti giudicano
intollerabile il mondo dove viviamo. Non a caso al processo per le
cosiddette “nuove BR”, persone lontanissime dall’anarchismo hanno
manifestato entusiasmo per l’attentato di Genova. È l’apoteosi del
mezzo, che non si cura del fine. Una sorta di trasversalità dell’agire
colma l’apparente distanza dei progetti. In realtà questa distanza si
dissolve allorché questa pratica si sviluppa in opposizione alle lotte
sociali, inevitabilmente costrette in quello che il nucleo “Olga” chiama
“cittadinismo”. Con questo termine bollano le lotte popolari che in
questi anni, con crescente radicalità organizzativa hanno più volte
messo in difficoltà i governi che si sono succeduti, ledendo gli
interessi delle grandi imprese ed inaugurando pratiche di partecipazione
certo non anarchiche ma sicuramente lontane dalla triste abitudine alla
delega in bianco elettorale.
Fuori dalle lotte sociali cosa resta? Il partito, null’altro che il
partito. Non a caso i fautori della federazione informale si sono dotati
di una sigla-contenitore, riducendo il percorso di affinità alla pratica
di azioni violente. Prescindiamo dal fatto banale – anche se grave - che
in tal modo si offre una sponda ad infinite operazioni repressive basate
su reati associativi. Andiamo oltre anche al rischio palese che un
giorno o l’altro Stato o fascisti possano usare la sigla per scopi
propri, utilizzando la sponda loro ingenuamente offerta.
Se l’esito è il partito, l’organizzazione che agisce dove altri non
agirebbero, l’organizzazione che si pone in lotta privata con lo Stato e
i padroni, allora quest’esito conduce direttamente fuori dall’anarchismo.
L’anarchismo è altrove. L’anarchismo non si impone, ma si propone. Ogni
giorno, giorno dopo giorno, nell’auspicio che si fa agire concreto
perché gli sfruttati, se vogliono, possono creare le condizioni per fare
a meno di chi li sfrutta, perché gli oppressi, se vogliono, possono
lottare per liberarsi da chi li opprime. È questione di pratica, di
ginnastica della rivoluzione, di sperimentazione del possibile e del
desiderabile, di messa in gioco quotidiana.
Nell’estasi superomista del gesto che appaga, scrivono con disprezzo che
per gli anarchici sociali “unica bussola è il codice penale”. Scrivono
“costi quel che costi”, gli anarchici il prezzo lo pagano ogni giorno.
Anche, ma non è né un vanto né una lamentela, di fronte ai tribunali,
che ci presentano il conto per le lotte cui partecipiamo.
Gli autori del comunicato usano il termine “federazione” ma riducono il
federalismo alla relazione intangibile tra chi si riconosce nella
pistola che spara o nel pacco che deflagra, non certo nella volontà di
costruire un ambito di relazioni che si impegni a coniugare libertà ed
organizzazione.
I detrattori dell’anarchismo sostengono che è impossibile coniugare
libertà e organizzazione, anarchia e organizzazione, poiché identificano
l’organizzazione con la gerarchia, con lo Stato, con l’imposizione
violenta di un ordine sociale che limita la libertà e trasforma
l’uguaglianza in uno scheletro formale senza base materiale.
I sostenitori della democrazia parlamentare ritengono che la libertà
vada limitata, perché, al di là della retorica sul potere popolare, non
vedono la libertà come il segno distintivo di un’umanità che si emancipa
dalla sottomissione ad un qualsivoglia ordine gerarchico, ma come
Gli anarchici sono serrati in una morsa interpretativa: da un lato
descritti come “terroristi” o loro tifosi, dall’altro come burocrati
inoffensivi.
Una morsa che probabilmente sarà gradita a chi si compiace del gesto, vi
si appaga in un’estasi esistenziale in cui il bagliore di un attimo
compensa il grigiore di una quotidianità spesa nel silenzio e
nell’attesa di un’altra occasione per far salire l’adrenalina. “Per
quanto lieve sia questo bagliore – scrivono – la qualità della vita ne
sarà sempre arricchita”. Tra un pacco postale e una pallottola alle
gambe potranno crogiolarsi nella fama di carta che i media pagati da
padroni e partiti vorranno regalare loro.
Al di là dell’uso mediatico dell’attentato ad Adinolfi, resta il dato
politico del riproporsi di un avanguardismo armato, che oltre le
seduzioni semantiche, ricalca una parabola da partitino autoritario, che
culla l’illusione di potersi ergere a guida di quanti giudicano
intollerabile il mondo dove viviamo. Non a caso al processo per le
cosiddette “nuove BR”, persone lontanissime dall’anarchismo hanno
manifestato entusiasmo per l’attentato di Genova. È l’apoteosi del
mezzo, che non si cura del fine. Una sorta di trasversalità dell’agire
colma l’apparente distanza dei progetti. In realtà questa distanza si
dissolve allorché questa pratica si sviluppa in opposizione alle lotte
sociali, inevitabilmente costrette in quello che il nucleo “Olga” chiama
“cittadinismo”. Con questo termine bollano le lotte popolari che in
questi anni, con crescente radicalità organizzativa hanno più volte
messo in difficoltà i governi che si sono succeduti, ledendo gli
interessi delle grandi imprese ed inaugurando pratiche di partecipazione
certo non anarchiche ma sicuramente lontane dalla triste abitudine alla
delega in bianco elettorale.
Fuori dalle lotte sociali cosa resta? Il partito, null’altro che il
partito. Non a caso i fautori della federazione informale si sono dotati
di una sigla-contenitore, riducendo il percorso di affinità alla pratica
di azioni violente. Prescindiamo dal fatto banale – anche se grave - che
in tal modo si offre una sponda ad infinite operazioni repressive basate
su reati associativi. Andiamo oltre anche al rischio palese che un
giorno o l’altro Stato o fascisti possano usare la sigla per scopi
propri, utilizzando la sponda loro ingenuamente offerta.
Se l’esito è il partito, l’organizzazione che agisce dove altri non
agirebbero, l’organizzazione che si pone in lotta privata con lo Stato e
i padroni, allora quest’esito conduce direttamente fuori dall’anarchismo.
L’anarchismo è altrove. L’anarchismo non si impone, ma si propone. Ogni
giorno, giorno dopo giorno, nell’auspicio che si fa agire concreto
perché gli sfruttati, se vogliono, possono creare le condizioni per fare
a meno di chi li sfrutta, perché gli oppressi, se vogliono, possono
lottare per liberarsi da chi li opprime. È questione di pratica, di
ginnastica della rivoluzione, di sperimentazione del possibile e del
desiderabile, di messa in gioco quotidiana.
Nell’estasi superomista del gesto che appaga, scrivono con disprezzo che
per gli anarchici sociali “unica bussola è il codice penale”. Scrivono
“costi quel che costi”, gli anarchici il prezzo lo pagano ogni giorno.
Anche, ma non è né un vanto né una lamentela, di fronte ai tribunali,
che ci presentano il conto per le lotte cui partecipiamo.
Gli autori del comunicato usano il termine “federazione” ma riducono il
federalismo alla relazione intangibile tra chi si riconosce nella
pistola che spara o nel pacco che deflagra, non certo nella volontà di
costruire un ambito di relazioni che si impegni a coniugare libertà ed
organizzazione.
I detrattori dell’anarchismo sostengono che è impossibile coniugare
libertà e organizzazione, anarchia e organizzazione, poiché identificano
l’organizzazione con la gerarchia, con lo Stato, con l’imposizione
violenta di un ordine sociale che limita la libertà e trasforma
l’uguaglianza in uno scheletro formale senza base materiale.
I sostenitori della democrazia parlamentare ritengono che la libertà
vada limitata, perché, al di là della retorica sul potere popolare, non
vedono la libertà come il segno distintivo di un’umanità che si emancipa
dalla sottomissione ad un qualsivoglia ordine gerarchico, ma come
pericolo
da ingabbiare. Per i democratici l’unico modo di regolare i
conflitti, la giungla sociale, è nell’imposizione violenta di regole
fissate in base al principio di maggioranza.
Gli esponenti del nucleo Olga adottano la giungla sociale con cui gli
Stati giustificano la loro esistenza, come puntello ad un agire per il
gusto d’agire, un agire che rifugge con sdegno ogni riflessione
sull’etica della responsabilità, sulla necessità morale e politica di
costruire strade che tutti possano e vogliano percorrere. Un agire che
basta a se stesso, senza alcuna attenzione a coloro, senza i quali,
piaccia o non piaccia, si fa la guerra privata allo Stato, non la
rivoluzione. Nel loro scritto proclamano “il piacere di aver realizzato
pienamente e aver vissuto qui e oggi la ‘nostra’ rivoluzione”. In questo
modo la rivoluzione sociale si riduce ad una pratica autoerotica in club
privé.
L'anarchismo si è sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi
azioni ed obiettivi, e sulla responsabilità personale nel perseguirle:
esso rimanda sempre alla coscienza degli individui e alla
interpretazione del momento storico in cui essi vivono.
L'efficacia dell'azione diretta non viene espressa dal grado di violenza
in essa contenuta, quanto piuttosto dalla capacità di indicare una
strada praticabile da tutti, di costruire una forza collettiva in grado
di ridurre la violenza al minimo livello possibile all'interno del
processo di trasformazione rivoluzionaria.
La violenza se eretta a sistema rigenera lo Stato.
La scommessa degli anarchici organizzatori è quella di costruire ambiti
di relazione politica e sociale, che, con il loro stesso esistere,
prefigurino relazioni sociali libere, dove il legame organizzativo
amplifica la libertà del singolo. L’anarchismo sociale non è permeato da
alcuna pretesa che esista la formula definitiva per la società
anarchica, ma si interroga e interrogandosi prova a praticare una
relazione tra diversi che miri alla sintesi possibile, nel rispetto
delle differenze di ciascuno e ciascuna. Siamo consapevoli che solo una
società omologata e, quindi, intrinsecamente autoritaria se non
totalitaria, può immaginare di espungere il conflitto dalle relazioni
sociali: per questa ragione consideriamo l’anarchia un orizzonte
costantemente in costruzione, dove la rivoluzione sociale che abolisce
conflitti, la giungla sociale, è nell’imposizione violenta di regole
fissate in base al principio di maggioranza.
Gli esponenti del nucleo Olga adottano la giungla sociale con cui gli
Stati giustificano la loro esistenza, come puntello ad un agire per il
gusto d’agire, un agire che rifugge con sdegno ogni riflessione
sull’etica della responsabilità, sulla necessità morale e politica di
costruire strade che tutti possano e vogliano percorrere. Un agire che
basta a se stesso, senza alcuna attenzione a coloro, senza i quali,
piaccia o non piaccia, si fa la guerra privata allo Stato, non la
rivoluzione. Nel loro scritto proclamano “il piacere di aver realizzato
pienamente e aver vissuto qui e oggi la ‘nostra’ rivoluzione”. In questo
modo la rivoluzione sociale si riduce ad una pratica autoerotica in club
privé.
L'anarchismo si è sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi
azioni ed obiettivi, e sulla responsabilità personale nel perseguirle:
esso rimanda sempre alla coscienza degli individui e alla
interpretazione del momento storico in cui essi vivono.
L'efficacia dell'azione diretta non viene espressa dal grado di violenza
in essa contenuta, quanto piuttosto dalla capacità di indicare una
strada praticabile da tutti, di costruire una forza collettiva in grado
di ridurre la violenza al minimo livello possibile all'interno del
processo di trasformazione rivoluzionaria.
La violenza se eretta a sistema rigenera lo Stato.
La scommessa degli anarchici organizzatori è quella di costruire ambiti
di relazione politica e sociale, che, con il loro stesso esistere,
prefigurino relazioni sociali libere, dove il legame organizzativo
amplifica la libertà del singolo. L’anarchismo sociale non è permeato da
alcuna pretesa che esista la formula definitiva per la società
anarchica, ma si interroga e interrogandosi prova a praticare una
relazione tra diversi che miri alla sintesi possibile, nel rispetto
delle differenze di ciascuno e ciascuna. Siamo consapevoli che solo una
società omologata e, quindi, intrinsecamente autoritaria se non
totalitaria, può immaginare di espungere il conflitto dalle relazioni
sociali: per questa ragione consideriamo l’anarchia un orizzonte
costantemente in costruzione, dove la rivoluzione sociale che abolisce
la
proprietà privata ed elimina il governo, è il primo passo non
l’ultimo di un percorso di sperimentazione sociale, che è nostro sin da ora.
l’ultimo di un percorso di sperimentazione sociale, che è nostro sin da ora.
La
Commissione di Corrispondenza
Commissione di Corrispondenza
Federazione Anarchica Italiana
Corso Palermo, 46 - 10152 Torino
www.federazioneanarchica.org
Commissione di Corrispondenza
Federazione Anarchica Italiana
Corso Palermo, 46 - 10152 Torino
www.federazioneanarchica.org
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