Categorie: Il Fondo Quotidiano
– 18 nov '11Su Gli Altri in edicola da oggi, un focus sul nuovo governo Monti. Piero Sansonetti apre con una provocazione sul ruolo “golpista” di Napolitano. Antonio Di Pietro (Idv), Gennaro Migliore (Sel) e Cesare Damiano (Pd) raccontano cosa si aspettano e cosa temono dal nuovo corso. Lanfranco Caminiti, Andrea Colombo e Miro Renzaglia fanno un ritratto dei manovratori di questi mesi. Vi aspettiamo!
La redazione de Gli Altri
IL GRANDE GOLPE DELLA BORGHESIAPiero Sansonetti
È esagerato il titolo che vedete qui sopra? No, è solo la fotografia di quello che è successo. Il Presidente della Repubblica – su pressante richiesta dell’Alta finanza, dei banchieri europei e dei leader di Francia e Germania, e sulla spinta degli speculatori di borsa – ha sospeso il rapporto diretto, che esiste in democrazia, tra elettori e potere. Ha avocato a se questo potere, lo ha imposto ai partiti e al Parlamento, e ha compiuto, in piena coscienza, la scelta classica dei colpi di Stato: ha investito l’uomo forte.Certo, Mario Monti non assomiglia a un dittatore feroce, pare una persona mite a tollerante; ma il concetto di forza – in politologia – non sta semplicemente nella forza fisica o militare, o nell’aggressività: sta nella dichiarazione di “superiorità”. E nell’idea che “uno” sia meglio di molti e meglio di tutti. Monti è stato scelto da Napolitano perché è considerato “superiore”. A chi? Alla politica, all’elettorato, ai meccanismi essenziali della democrazia. Gli elettori erano stati chiamati tre ani fa da una legge elettorale maggioritaria a scegliere il Presidente del Consiglio e avevano scelto Berlusconi, preferendolo a Veltroni e a Bertinotti. Napolitano ha stabilito che la scelta degli elettori era sbagliata (ed è ragionevole credere che fosse così…) e per modificare questa scelta non ha pensato che fosse giusto rivolgersi di nuovo agli elettori, ma ha deciso un atto di “rottura” verso l’elettorato e si è sostituito all’elettorato. Questo atto di rottura, anche se pacifico, è tecnicamente il “colpo di Stato”.
In Italia i Presidenti della Repubblica, spesso, hanno avuto – nella parte finale del loro mandato – atteggiamenti discutibili. Ricordo che per Cossiga – che in fondo si limitava a rendere pubblico il suo pensiero molto anticonformista, ma non cercò mai di renderlo “potere” – fu addirittura chiesto l’impeachment (e si ottennero le sue dimissioni anticipate). Non posso neppure immaginare come sarebbe stato trattato Cossiga se avesse fatto la metà degli strappi compiuti da Napolitano…
Naturalmente chiunque può liberamente decidere se il golpe di Napolitano – e di Monti, e delle banche europee, e di Sarkozy e di Merkel – sia una sciagura o un atto giusto e necessario. Non è possibile però negare che sia stato un golpe. E sarebbe sbagliato – in nome di un principio di necessità, o di “obbligatorietà” – negare la valenza istituzionale, di sospensione delle regole democratiche, prodotta dalla nomina del governo Monti.
Domanda: perché la borghesia italiana (finalmente riunificata dalla sconfitta di Berlusconi) ha scelto questa via antidemocratica per riprendere il controllo del paese? Per rispondere a questa domanda, forse, possono aiutarci i precedenti. I presunti tentativi di colpo di Stato, in tutta la storia della Repubblica, sono stati due. Il primo sarebbe avvenuto nel ’53, con il varo della legge truffa che – se fosse scattata, ma non scattò – avrebbe ridotto notevolmente il peso dell’opposizione in Parlamento. Il secondo è il “piano Solo”, che è del ’64, fu guidato dal vertice del servizio segreto di allora (il Sifar), e fallì, presumibilmente, per un malore che colpì il Presidente della Repubblica (che pare fosse un sostenitore dell’iniziativa) e lo mise fuorigioco.
Sul primo tentativo (la legge truffa) c’è da discutere: fu un tentativo di ridimensionare la democrazia rappresentativa, non di sopprimerla. E soprattutto fu un tentativo che passò per il voto popolare, e i golpe non si possono fare alle urne. Il secondo invece fu un tentativo di golpe vero e proprio, e fu progettato per fermare la spinta riformatrice, fortissima, che alimentava il nuovo governo di centrosinistra guidato da Moro e da Nenni. Quel governo aveva già iniziato a realizzare un piano massiccio di nazionalizzazioni, e progettava un riequilibrio tra Stato e mercato – e tra Stato e padroni del capitalismo italiano – non certo favorevole ai padroni del capitalismo italiano. Quel centrosinistra fu fermato con la minaccia di golpe e il suo progetto politico – basato sulla programmazione che toglieva spazio al mercato – perì definitivamente.
Siamo in una situazione simile. Stavolta però non è bastata la minaccia di golpe. Si è andati oltre. Siamo sicuri che il golpe fosse necessario per salvare l’Italia? O invece era necessario a salvare questa versione del capitalismo – messa alle corde dalla crisi – che sarebbe il nuovo liberismo europeo? Ecco, credo proprio che il golpe fosse necessario esattamente per questo scopo: non permettere che fosse messo in discussione questo modello di capitalismo senza mandare l’Italia alla malora.
Diciamo, più semplicemente, che di fronte alla durezza della crisi, c’erano due soluzioni: criticare il neoliberismo e cercare un nuovo modello economico, riducendo il potere dei mercati e le ingiustizie sociali; oppure finanziare la sopravvivenza di quel modello, chiedendo soldi ai lavoratori e ai ceti meno ricchi – tagli delle pensioni, del welfare, licenziabilità eccetera – ma per fare ciò occorreva una sospensione della democrazia.
Quanto durerà questa sospensione? Davvero è solo una sospensione? E poi, domanda finale: come è stato possibile che le forze principali del centrosinistra si siano accodate a questa operazione autoritaria e reazionaria?
Piero Sansonetti
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