ARTICOLO DI "UMANITA' NOVA" N.19 ANNO 2012
Nel
nostro paese la situazione politica e sociale mostra chiari segni di
un’involuzione
autoritaria su scala globale. Il dispiegarsi di politiche
disciplinari in
risposta alle questioni sociali è segno che il tempo dei
compromessi, delle
socialdemocrazie sta tramontando. Potremmo dover fare
i conti con il
rischio che si impongano regimi decisamente autoritari.
La
criminalizzazione dei movimenti sociali e degli anarchici, prepara il
terreno e nuovi
dispositivi repressivi: nuove leggi, nuovi procedimenti
penali, una sempre
più forte torsione delle normative vigenti, un sempre
maggior controllo
militare del territorio.
L'immediata
gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la
dice lunga su quali
sono le intenzioni dell'oligarchia al potere. Un
atto vile, di
terrorismo indiscriminato, contro delle giovani donne,
antisociale e
criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di
lotta armata,
magari con origini greche o con contorno mafioso, con
l'obiettivo palese
della realizzazione dell'unità di tutti gli
schieramenti in
difesa dello Stato, un'unità che abbiamo visto all'opera
negli anni della
solidarietà nazionale, delle leggi speciali,
dell'arretramento
sociale e culturale del paese.
Anche il ferimento
dell’AD di Ansaldo nucleare e la rivendicazione
inviata al Corsera
dal nucleo “Olga” della FAInformale dimostrano come
azione e
comunicazione si intreccino e si confondano in un gioco di
specchi infinito e
deformante. Occorre osservare con attenzione per
coglierne l’intima
trama.
I media, gli stessi
che minimizzano da sempre la ferocia della guerra
che l’esercito
italiano combatte in Afganistan, hanno sparato a zero
contro il movimento
anarchico, quel movimento che non si sottrae alle
lotte sociali, che
è in prima fila nei movimenti per la difesa
ambientale, contro
la guerra e il militarismo, contro le leggi razziste
e le politiche
securitarie nel nostro paese.
Giornali, radio e
televisioni, che nell’immediato non avevano alzato i
toni, si scatenano
dopo la rivendicazione.
Nelle crisi sono
sempre ricercati dei capri espiatori, su cui
indirizzare
l'attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono
riusciti negli anni
'80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza
dei movimenti del
decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti
ed indistintamente,
la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni
erba un fascio,
comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e
contrapposizioni,
così oggi c'è chi intende rispolverare i vecchi arnesi
della
criminalizzazione preventiva.
D'altronde la
situazione per governi e padroni non è facile: devono far
digerire misure
sempre più indigeste e in loro cresce la paura di una
ribellione sociale.
Il ferimento di
Adinolfi è stato colto al volo per rilanciare, dopo le
varie informative
dei servizi segreti sul pericolo
“anarco-insurrezionalista”,
l'incombenza della minaccia terroristica di
matrice anarchica,
collegandolo al malcontento sociale crescente, al
movimento NoTav e,
in generale, contro ogni forma di opposizione sociale.
Se l'operazione in
corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi
sempre nuove
operazioni repressive.
In una situazione
dove l'aggressione alla qualità della vita della
popolazione si sta
intensificando, soprattutto nel settore del lavoro
dipendente, del
precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove
ci sarebbe bisogno
di tutta la partecipazione, di tutta l'intelligenza e
della capacità collettiva
per organizzare risposte incisive, promuovere
lotte, sviluppare
iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle
forme
autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare
inevitabile doversi
misurare con chi pensa che un gruppo,
un'organizzazione,
dura, combattente, clandestina, possa ottenere
risultati efficaci,
con chi pensa di avere la risposta in tasca. Come il
gruppo che ha
firmato l'attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare
rivendicando la sua
appartenenza alla federazione anarchica informale.
Soprattutto se
l'enfasi mediatica con il quale vengono riportate queste
azioni è funzionale
al coinvolgimento di tutto il movimento anarchico in
un processo di
criminalizzazione generale, che ha investito pesantemente
anche la
Federazione Anarchica Italiana.
Non per caso il
testo del nucleo “Olga” viene pubblicato integralmente
dal Corriere della
sera, che decide in tal modo di fare da megafono alla
FAInformale. Viene
da chiedersi il perché. La risposta non è difficile.
Il comunicato, dopo
le prime righe sulla questione nucleare, è dedicato
alla propaganda:
buona parte del documento è un attacco violentissimo al
movimento anarchico
nelle sue tante componenti.
Tutti i quotidiani,
i GR e i telegiornali dedicano ampio spazio ad un
testo in cui si
sostiene che gran parte del movimento anarchico fa
proprio un
anarchismo “ideologico e cinico, svuotato da ogni alito di
vita”. Non solo.
Secondo gli informali gli anarchici impegnati nelle
lotte sociali
“lavorerebbero per il rafforzamento della democrazia”.
Ossia per il
mantenimento dell’ordine gerarchico.
Chi legge ha
l’impressione che lo scopo reale dell’azione non fosse
tanto un monito ai
signori dell’atomo, quanto l’ottenere l’audience
adatta a far sapere
a tutti la propria opinione sul movimento anarchico.
L’azione degli
anarchici è descritta come mera attività ludica, >
“ascoltare
musica alternativa” mentre il “nuovo anarchismo” nasce dal
gesto di “impugnare
la pistola”, dalla scelta della “lotta armata”.
Il mezzo annebbia a
tal punto il fine che i supereroi da cartone
animato, che non
amano “la retorica violentista ma con piacere” hanno
“armato” le proprie
mani non si rendono conto che nel nostro paese il
nucleare è al
momento uscito di scena, grazie alle lotte e ai movimenti
popolari.
Azioni dirette,
senza delega, concrete e capaci di mostrare che è
possibile prendere
in mano il proprio destino, lottare contro i giganti
dell’atomo e
sconfiggerli, come a Scanzano Jonico e nei blocchi dei
trasporti nucleari
tra l’Italia e la Francia, dove gli anarchici erano
in prima fila.
Ogni giorno gli
anarchici partecipano alle lotte per difesa del
territorio e per
l’autogoverno, contro i padroni per la realizzazione di
margini di
autonomia dei lavoratori dalla schiavitù salariata, contro la
guerra e le
produzioni militari, per una società senza eserciti e
frontiere, contro
il razzismo, il sessimo, la guerra ai poveri e alle
donne.
Gli anarchici, che
subiscono lo sfruttamento e l’oppressione come tutti,
a fianco di ogni
altro sfruttato ed oppresso, si battono contro lo stato
e il capitalismo
per creare le condizioni per abbatterli, mirando a
spezzare l’ordine
materiale e, insieme, quello simbolico, consapevoli
che non basta
distruggere ma occorre saper costruire. Costruire senza
timore che la casa
venga abbattuta, sapendo che ogni spazio liberato,
anche per pochi
momenti, diviene luogo di sperimentazioni dove tanti
assaporano il gusto
di una libertà che non è astrazione poetica ma
concreta
edificazione di un ambito politico non statale.
Azioni che
prefigurano sin da ora relazioni politiche e sociali di segno
diverso, che non si
limitano al “sogno di un’umanità libera dalla
schiavitù” perché
il percorso di libertà non è un “sogno” ma la
scommessa
quotidiana dentro le realtà sociali in cui siamo forzati a
vivere e che
vogliamo contribuire a cambiare. Non da soli. Mai da soli,
perché l’umanità è
fatta di persone in carne ed ossa, perché agire in
nome di un’astratta
“umanità” è tipico degli stati, delle religioni,
persino del
capitalismo che promette senza mantenere benessere e
felicità. Non degli
anarchici.
La pratica della
libertà attraverso la libertà può essere contagiosa ma
non si può certo
imporre.
Gli estensori del
comunicato rifuggono il “consenso” e cercano
“complicità”. Se ne
infischiano del fine e pensano solo al mezzo, di
fatto rinunciando
ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale anarchica.
Il loro linguaggio
e la loro pratica sono un cocktail di pratica
avanguardista e
retorica estetizzante.
Inevitabile che i
media dessero loro ampio spazio, seguendo linee
interpretative a
volte divaricate, altre volte intrecciate. La maggior
parte degli organi
di informazione ha imbastito teoremi per mettere in
relazione le lotte
sociali e la FAI informale, in un rapporto quasi
simbiotico.
Gli anarchici sono
serrati in una morsa interpretativa: da un lato
descritti come
“terroristi” o loro tifosi, dall’altro come burocrati
inoffensivi.
Una morsa che
probabilmente sarà gradita a chi si compiace del gesto, vi
si appaga in
un’estasi esistenziale in cui il bagliore di un attimo
compensa il
grigiore di una quotidianità spesa nel silenzio e
nell’attesa di
un’altra occasione per far salire l’adrenalina. “Per
quanto lieve sia
questo bagliore – scrivono – la qualità della vita ne
sarà sempre
arricchita”. Tra un pacco postale e una pallottola alle
gambe potranno
crogiolarsi nella fama di carta che i media pagati da
padroni e partiti
vorranno regalare loro.
Al di là dell’uso
mediatico dell’attentato ad Adinolfi, resta il dato
politico del
riproporsi di un avanguardismo armato, che oltre le
seduzioni
semantiche, ricalca una parabola da partitino autoritario, che
culla l’illusione
di potersi ergere a guida di quanti giudicano
intollerabile il
mondo dove viviamo. Non a caso al processo per le
cosiddette “nuove
BR”, persone lontanissime dall’anarchismo hanno
manifestato
entusiasmo per l’attentato di Genova. È l’apoteosi del
mezzo, che non si
cura del fine. Una sorta di trasversalità dell’agire
colma l’apparente
distanza dei progetti. In realtà questa distanza si
dissolve allorché
questa pratica si sviluppa in opposizione alle lotte
sociali,
inevitabilmente costrette in quello che il nucleo “Olga” chiama
“cittadinismo”. Con
questo termine bollano le lotte popolari che in
questi anni, con
crescente radicalità organizzativa hanno più volte
messo in difficoltà
i governi che si sono succeduti, ledendo gli
interessi delle
grandi imprese ed inaugurando pratiche di partecipazione
certo non
anarchiche ma sicuramente lontane dalla triste abitudine alla
delega in bianco
elettorale.
Fuori dalle lotte
sociali cosa resta? Il partito, null’altro che il
partito. Non a caso
i fautori della federazione informale si sono dotati
di una
sigla-contenitore, riducendo il percorso di affinità alla pratica
di azioni violente.
Prescindiamo dal fatto banale – anche se grave - che
in tal modo si
offre una sponda ad infinite operazioni repressive basate
su reati
associativi. Andiamo oltre anche al rischio palese che un
giorno o l’altro
Stato o fascisti possano usare la sigla per scopi
propri, utilizzando
la sponda loro ingenuamente offerta.
Se l’esito è il
partito, l’organizzazione che agisce dove altri non
agirebbero,
l’organizzazione che si pone in lotta privata con lo Stato e
i padroni, allora
quest’esito conduce direttamente fuori dall’anarchismo.
L’anarchismo è
altrove. L’anarchismo non si impone, ma si propone. Ogni
giorno, giorno dopo
giorno, nell’auspicio che si fa agire concreto
perché gli
sfruttati, se vogliono, possono creare le condizioni per fare
a meno di chi li
sfrutta, perché gli oppressi, se vogliono, possono
lottare per
liberarsi da chi li opprime. È questione di pratica, di
ginnastica della
rivoluzione, di sperimentazione del possibile e del
desiderabile, di
messa in gioco quotidiana.
Nell’estasi
superomista del gesto che appaga, scrivono con disprezzo che
per gli anarchici
sociali “unica bussola è il codice penale”. Scrivono
“costi quel che
costi”, gli anarchici il prezzo lo pagano ogni giorno.
Anche, ma non è né
un vanto né una lamentela, di fronte ai tribunali,
che ci presentano
il conto per le lotte cui partecipiamo.
Gli autori del
comunicato usano il termine “federazione” ma riducono il
federalismo alla
relazione intangibile tra chi si riconosce nella
pistola che spara o
nel pacco che deflagra, non certo nella volontà di
costruire un ambito
di relazioni che si impegni a coniugare libertà ed
organizzazione.
I detrattori
dell’anarchismo sostengono che è impossibile coniugare
libertà e
organizzazione, anarchia e organizzazione, poiché identificano
l’organizzazione
con la gerarchia, con lo Stato, con l’imposizione
violenta di un
ordine sociale che limita la libertà e trasforma
l’uguaglianza in
uno scheletro formale senza base materiale.
I sostenitori della
democrazia parlamentare ritengono che la libertà
vada limitata,
perché, al di là della retorica sul potere popolare, non
vedono la libertà
come il segno distintivo di un’umanità che si emancipa
dalla sottomissione
ad un qualsivoglia ordine gerarchico, ma come
pericolo
da ingabbiare. Per i democratici l’unico modo di regolare i
conflitti, la
giungla sociale, è nell’imposizione violenta di regole
fissate in base al
principio di maggioranza.
Gli esponenti del
nucleo Olga adottano la giungla sociale con cui gli
Stati giustificano
la loro esistenza, come puntello ad un agire per il
gusto d’agire, un
agire che rifugge con sdegno ogni riflessione
sull’etica della
responsabilità, sulla necessità morale e politica di
costruire strade
che tutti possano e vogliano percorrere. Un agire che
basta a se stesso,
senza alcuna attenzione a coloro, senza i quali,
piaccia o non
piaccia, si fa la guerra privata allo Stato, non la
rivoluzione. Nel
loro scritto proclamano “il piacere di aver realizzato
pienamente e aver
vissuto qui e oggi la ‘nostra’ rivoluzione”. In questo
modo la rivoluzione
sociale si riduce ad una pratica autoerotica in club
privé.
L'anarchismo si è
sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi
azioni ed
obiettivi, e sulla responsabilità personale nel perseguirle:
esso rimanda sempre
alla coscienza degli individui e alla
interpretazione del
momento storico in cui essi vivono.
L'efficacia
dell'azione diretta non viene espressa dal grado di violenza
in essa contenuta,
quanto piuttosto dalla capacità di indicare una
strada praticabile
da tutti, di costruire una forza collettiva in grado
di ridurre la
violenza al minimo livello possibile all'interno del
processo di
trasformazione rivoluzionaria.
La violenza se
eretta a sistema rigenera lo Stato.
La scommessa degli
anarchici organizzatori è quella di costruire ambiti
di relazione
politica e sociale, che, con il loro stesso esistere,
prefigurino
relazioni sociali libere, dove il legame organizzativo
amplifica la
libertà del singolo. L’anarchismo sociale non è permeato da
alcuna pretesa che
esista la formula definitiva per la società
anarchica, ma si
interroga e interrogandosi prova a praticare una
relazione tra
diversi che miri alla sintesi possibile, nel rispetto
delle differenze di
ciascuno e ciascuna. Siamo consapevoli che solo una
società omologata
e, quindi, intrinsecamente autoritaria se non
totalitaria, può
immaginare di espungere il conflitto dalle relazioni
sociali: per questa
ragione consideriamo l’anarchia un orizzonte
costantemente in
costruzione, dove la rivoluzione sociale che abolisce
la
proprietà privata ed elimina il governo, è il primo passo non
l’ultimo di un
percorso di sperimentazione sociale, che è nostro sin da ora.
La
Commissione di Corrispondenza
Commissione di
Corrispondenza
Federazione
Anarchica Italiana
Corso Palermo, 46 -
10152 Torino
www.federazioneanarchica.org