La Politica istituzionale va in ferie, LA RESISTENZA NO! Per salvare Confindustria, Istituti Bancari e di Credito, le solite Elite di potere Economico e il sistema Capitalistico morente ridurranno gli italiani alla fame, gli operai sempre più precari, disoccupati e robot al servizio del padrone, infine distruggendo lo Stato Sociale conquistato con le lotte operaie. Chiamamo a raccolta per il primo momento di protesta, il 15 agost...o, tutti le cittadine e cittadini, i partiti antagonisti a questa politica ed al sistema capitalistico di privatizzazioni della cosa pubblica, liberticida, corruttore e corrotto. E' il primo momento di una serie di maniestazioni popolari che porterà un fine estate ed un autunno di proteste civili, alle quali, pur nella loro diversità di visione politica e socetaria, anche gli anarchici aderiscono. Non ci stiamo, i pilastri della lotta antifascista NON SI TOCCANO. Dimostriamo, anche se il periodo non è dei più felici, che il potere non è più forte della volontà popolare. TUTTI IN SIT-IN IL 15 AGOSTO ORE 10 SOTTO LA PREFETTUARA DI PARMA PER DIRE NO ALL'OMICIDIO DELLO STATO SOCIALE,ALLA SOPRESSIONE DELLA FESTA DELLA LOTTA ANTIFASCISTA, DEL LAVORO. Fra il molto fumo sparso ieri Tremonti ha lasciato intravedere una misura di “risparmio”. Lo spostamento alla domenica di tre festività, ovviamente laiche, che possono cadere in giorni lavorativi: il due giugno 25 aprile festa della Liberazione dal nazifascismo e 1° Maggio festa del lavoro. All’algido superministro nessuna delle tre deve scaldare il cuore. Tantomeno a Berlusconi che, anzi, ne farebbe a meno da tempo. Bossi? Non si sa, è molto ondivago. A nostro sommesso avviso, se una delle tre si deve proprio accorpare ad una domenica, potrebbe essere il 2 giugno. Non perché la nascita della Repubblica sia poco importante, ma perché ci sembra che per l’identità, già tanto scossa, dell’Italia e degli Italiani, le altre due abbiano un più incisivo valore simbolico. Checché ne pensino i detrattori vecchi e nuovi dell’antifascismo (le loro schiere servizievoli si sono ingrossate, con questo centrodestra ottuso come un muro), né la Repubblica né la sua bella Costituzione ci sarebbero senza la Liberazione nazionale dalla dittatura, senza quelle brigate partigiane che entrano in Milano – le prime dall’Oltrepò pavese guidate da Italo Pietra (Edoardo) futuro maestro di giornalismo, al Messaggero – snidando gli ultimi cecchini nazifascisti, senza quegli uomini mai retorici che impersonavano il «vento del Nord» (altro che Lega). Da Parri a Longo, a Mattei, a Pertini, a Riccardo Lombardi. Non c’è domenica che tenga. Il 25 aprile deve rimanere festa nazionale, ovunque cada. Nel riscatto, morale anzitutto, della Nazione italiana dall’abisso della dittatura, delle leggi liberticide e razziali, della guerra fascista hanno ruolo sia i repubblicani che i monarchici (non i Savoia, per loro colpa specifica, per difetto di coraggio). Hanno ruolo i partigiani delle “Garibaldi”, di GL, delle “Matteotti”, ma anche quelli “bianchi” delle brigate cattoliche e, in Piemonte, i “fazzoletti azzurri” monarchici. Hanno ruolo i numerosi militari italiani che risalirono la penisola combattendo duramente al fianco degli Alleati e, in nome di una Patria da loro mai considerata “morta”, i 32 mila ufficiali e i 600 mila soldati che rimasero nei lager dicendo “no” ad ogni adesione alla Repubblica mussoliniana di Salò. Le loro schede sono in archivio a Berlino e ancora stupiscono i tedeschi. E come rinunciare al 1° Maggio, festa mondiale che negli Usa, dove nacque, viene celebrata ogni primo lunedì di settembre? «8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 di sonno» fu la rivendicazione in Australia nel lontano 1855 e pioniere fra i minatori auriferi doveva essere uno dei Mille, Raffaello Carboni, giornalista e musicista. Le 8 ore vennero votate nell’Illinois nel 1866, senza esito pratico. L’anno dopo Chicago fu invasa dai manifestanti. Non bastò. Nel 1884 la polizia sparò sugli operai seminando la morte: 8 anarchici, accusati senza prove della rivolta, finirono sulla forca o all’ergastolo. E fu la scintilla. Anche in Italia si doveva scioperare per conquistare quella festa. La spallata decisiva di massa venne dallo sciopero del 1890. Chi non poté scioperare, per protesta, si presentò in fabbrica vestito dalla festa. Successe a Voghera dove un giornalista socialista, Ernesto Majocchi, diede versi di lotta all’incalzante coro dell’”Ernani” verdiano. L’anarchico Pietro Gori aveva già trasformato il «Va’ pensiero sull’ali dorate» in «Vieni o maggio, t’aspettan le genti». Dal 1891 fu festa di tutti. Fissata da Pellizza da Volpedo nella tela del Quarto Stato in marcia. Subito abolita, nel 1925, da Benito Mussolini, essa rimase nel cuore di quanti, sfidando il regime, riuscivano sempre ad esporre, anche a Predappio patria del duce, un drappo rosso. Tornò dopo il 25 aprile ’45. Perché dovremmo farla traslocare in una qualsiasi domenica? |
fonte: http://www.unita.it/
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