martedì 16 agosto 2011

L'ANARCHIA fonte: http://www.bresciaoggi.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/277062__lanarchia/

STORIA. Il 17 novembre 1878 a Napoli l'aggressione a Umberto I di Savoia
Un film su Giovanni Passannante, l'attentatore del Re. Dietro l'osso occipitale aveva una fossetta: è l'indizio, si disse, che è anarchico IN TESTA



Ci sono storie che si vorrebbero dimenticare, soprattutto nella ricorrenza dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Dalla sempre irrisolta questione meridionale, al rapporto problematico con la Chiesa, dalla condotta morale di Mussolini, che condannò a morte persino un figlio, a una guerra civile mai ammessa, quella che vide coinvolti gli italiani tra il 1943 e il 1945, e alle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese.
Tra tante, una vicenda, sicuramente minore, infanga la Storia maggiore del nostro Bel Paese: quella, non affascinante, di Giovanni Passannante. Un nome che ai più non dice niente ma che invece segna in profondità il cammino italiano, tra politica, civiltà e cultura. Da anni uno spettacolo - L'innaffiatore del cervello di Passannante - circola per l'Italia raccontandone la trama. «Recito la storia vera di Giovanni Passannante, ricavata da atti conservati all'Archivio di Stato di Napoli e dagli articoli giornalistici di Anna Maria Mozzoni», spiega l'autore, attore, regista Ulderico Pesce, che ha preso come impegno di vita il ricordo di quest'uomo dal tragico destino. «Da anni racconto la storia terribile dell'anarchico lucano che il 17 novembre 1878 attentò alla vita di Umberto I di Savoia con un coltellino che aveva una lama lunga quattro dita non adatta ad uccidere un uomo».
«Passannante per me è un eroe. Era un uomo che lottava per gli altri, per ottenere giustizia ed equità», dice Pesce. «È importante raccontare la sua storia soprattutto oggi, in un'Italia dove a parlare sono tronisti senza talento e senza merito, dove tutto è corruzione e intrallazzo». Il protagonista dello spettacolo è un carabiniere incaricato di tenere sotto controllo la conservazione del cervello e del cranio dell'anarchico, ultima offesa al suo destino.
Una vita oggi raccontata anche da un film - Passanante - diretto da Sergio Colabona, uno dei registi che si sono fatti le ossa in televisione (lui con tre edizioni de Il Grande fratello). La pellicola era stata presentato al Festival del cinema di Bari. Il film è scritto dallo stesso Pesce e da Andrea Satta, frontman dei Têtes de Bois, gli stessi che con il giornalista Alessandro De Feo de L'Espresso, avevano portato avanti dalla fine anni '90, la battaglia, poi vinta nel 2007, per togliere dal museo criminologico di Roma il cervello e il cranio di Passannante, che erano esposti lì, ottenendo la sepoltura nella sua terra. Quel paesino meridionale di Salvia di Lucania, subito chiamato, dopo l'attentato, Savoia di Lucania.
«Passannante per noi è Carlo Giuliani, è Guantanamo, rappresenta chi sta in carcere ingiustamente», spiega Andrea Satta. «È stato torturato e sepolto vivo dai Savoia, capaci di atti come le leggi razziali, il cui nipote oggi balla in tv e va a cantare sul palco di Sanremo. Uscire d'estate certo non permette di avere un grande pubblico ma sarebbe importante che questo film arrivasse nelle scuole».
Passannante cercò di aggredire Umberto I, divenuto sovrano il 9 gennaio dello stesso anno, al grido di «Viva Orsini, viva la repubblica universale!» ma a differenza di Felice Orsini la punizione non fu la morte. La sua condanna venne, con Regio decreto del 29 marzo 1879, commutata in ergastolo, da scontare a Portoferraio, sull'isola d'Elba, in una cella angusta e solitaria posta sotto il livello del mare dove impazzì. Fu trasferito in manicomio dove passò il resto della sua vita e morì a Montelupo Fiorentino il 14 febbraio 1910, cinque giorni prima di compiere 61 anni.
Una testimonianza è stata raccolta in un articolo del 1891 di Salvatore Merlino, riportato da Errico Malatesta sulla rivista Al caffè nel 1922: «Giovanni Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò.... Il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. L'onorevole socialista Agostino Bertani, accompagnato dalla giornalista Anna Maria Mozzoni poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi».
Il suo gesto aveva portato alla ribellione i gruppi anarchici italiani, molti dei quali furono arrestati. La sua azione era stata condannata da Giosuè Carducci e esaltata da Giovanni Pascoli nell'Inno a Passannante, per cui fu arrestato e che poi scomparve. Ne restano solo i versi finali: «Con la berretta del cuoco faremo una bandiera».
Dopo il rapporto Bertani, con una certificazione di follia Passannante fu trasferito al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, dove morì. Ma la sua storia non finì, nell'Italia serva delle teorie di Cesare Ombroso: il corpo fu decapitato dopo un'autopsia che doveva verificare i tratti del suo essere criminale. Fu fatta una scoperta: il cranio aveva una fossetta dietro l'osso occipitale e si pensò che proprio quella fossetta fosse il segnale della tendenza all'anarchia di un soggetto.
Si legge che «in seguito si iniziò ad aprire la testa di tutti gli anarchici che decedevano ed in alcuni la fossetta si trovava in altri mancava».
Cervello e cranio furono conservati al Museo Criminologico dell'Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia di Roma fino al 2007 e poi, dopo forti discussioni, non ancora sopite, portati al paese natale e qui seppelliti. Il film riapre il dibattito su un uomo condannato in vita e in morte per un'idea e un regicidio mai attuato.

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