Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, Potenza, 18 febbraio 1849 - Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910), è stato un anarchico individualistaitaliano conosciuto che nel 1878 fu autore di un attentato fallito contro la vita di re Umberto I. Condannato a morte, la pena gli fu poi commutata in ergastolo che scontò in manicomio, dove passò il resto della sua vita.
Al suo paese d'origine, in segno di penitenza, venne imposto il cambio del nome in Savoia di Lucania in onore della famiglia reale.
Giovanni non è uno sprovveduto, è consapevole di quel che va a fare, sa che il suo gesto non potrà che procacciargli grossissimi guai. Il 16 novembre vende la sua giacca e acquista un temperino, poi scrive sul suo fazzoletto «A morte il re! Viva la Repubblica Universale». Il 17 novembre 1878 la carrozza di Umberto I di Savoia (il presunto “re buono”...) e la regina Margherita, percorre le strade di una Napoli festante accorsa a salutare il passaggio della coppia reale.
All'improvviso, Giovanni Passannante estrae dalla tasca un fazzoletto rosso in cui è nascosto il piccolo coltellino con una lama di 8 centimetri, si avvicina alla carrozza e colpisce il re. Margherita riesce a urtare l'attentatore con un mazzo di fiori e, miracolosamente, a deviarne il colpo sul primo ministro Cairoli, il quale si ritrova con una brutta lesione alla gamba, mentre Umberto viene ferito solo di striscio.
Dopo una detenzione di alcuni mesi durante la quale si cerca inutilmente di comprovare l'esistenza di un complotto ordito insieme agli anarchici napoletani Matteo Maria Melillo, Tommaso Schettino, Elviro Ciccarese e Felice D'Amato (arrestati il 18 novembre 1878, dopo un anno saranno definitivamente scagionati), si celebra il processo. Durerà solo due giorni (6-7 marzo 1879).
Davanti a un pubblico elegante seduto in posti numerati e munito di binocolo per osservare meglio il “mostro”, la difesa d'ufficio è affidata all'avv. Leopoldo Tarantini. Questi ne assume la difesa previa richiesta perdono al re per l'"ingrato" compito caduto sulla sua testa. L'avvocato cercherà semplicemente di far passare Passannante per infermo di mente, nel tentativo di salvarlo dalla condanna a morte (la perizia di cinque luminari dimostra la sua “finezza e forza di pensiero non comune”).
La giuria, nonostante il codice prevedesse la pena di morte solo in caso di regicidio, non ha alcuna pietà per l'anarchico e lo condanna alla pena capitale, che sarà poi “magnanimamente” commutata dal “re buono” in ergastolo temendo che una condanna spropositata potesse trasformare l'attentatore in martire.
Condotto nella Torre del Martello del penitenziario di Portoferraio, chiamata poi dai marinai Torre Passannante perché da lì udivano i suoi lugubri e continui lamenti, è chiuso in una cella alta 1,50 e legato a una catena pesante 18 chili che gli consente di muoversi per un solo metro. Durante la detenzione Giovanni viene visitato solo dal deputato socialista Agostino Bertani e dalla pubblicista Anna Maria Mozzoni, i quali si trovarono di fronte ad uno "spettacolo" agghiacciante:
- «Passanante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò... il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani... poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi» (Salvatore Merlino, L'Italia così com'è, 1891, in Al caffè, di Errico Malatesta, 1922).
Solo dopo l'incontro con Bertani e Mozzoni viene concesso il trasferimento nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Qui, gravemente malato di scorbuto, quasi cieco e ormai completamente impazzito per le torture fisiche e psichiche subite, Giovanni muore a 61 anni il 14 febbraio 1910.
Dopo la morte le autorità continuano ad accanirsi sul corpo del povero Giovanni. La sua testa viene tagliata dal resto del suo corpo, teschio e cervello vengono accuratamente sezionati e conservati affinché i criminologi possano studiarli. Essi sono convinti di potervi trovare, tra le altre cose, anche la famosa fossetta occipitale mediana, segno inequivocabile di delinquenza secondo la pseudoscienza della frenologia, ampiamente sconfessata nei decenni successivi (in realtà tale fossetta occipitale mediana si trova presente anche in intere popolazioni che sicuramente non sono dedite a pratiche di criminalità di massa).
La permanenza dei resti nel Museo causò numerose proteste e interrogazioni parlamentari (tra cui quella di Francesco Rutelli); l'eurodeputato Gianni Pittella portò la questione allaCommissione e al Consiglio europeo chiedendo di dare umana sepoltura ai resti di Passannante. Il 23 febbraio 1999 il ministro di Grazia e Giustizia, il comunista Oliviero Diliberto, firmò ilnulla osta per la traslazione dei resti di Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che però avverrà solamente otto anni dopo anche grazie all'iniziativa dell'attore Ulderico Pesce. La sua petizione in favore dell'anarchico fu firmata da numerosi intellettuali, politici ed artisti (Francesco Guccini, Dario Fo, Marco Travaglio, Antonello Venditti, Oliviero Diliberto, Paola Turci, Carmen Consoli, Peter Gomez, Erri De Luca, Giorgio Tirabassi, ecc.) contribuirà in maniera decisiva allo sblocco della vicenda.
Finalmente il 10 maggio 2007 è avvenuta la sepoltura, nel paese natale, dei resti di Giovanni Passannante. (Il Ministro della Giustizia Mastella aveva stabilito che la traslazione doveva avvenire l'11 maggio 2007 e invece "i servizi segreti", per motivi di ordine pubblico, l'anticiparono, segretamente, al giorno prima.)
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