mercoledì 18 novembre 2015

UMANITA' NOVA Le loro guerre, i nostri morti

fonte: http://www.umanitanova.org/2015/11/17/le-loro-guerre-i-nostri-morti/

parigi-1

Le loro guerre, i nostri morti

parigi-1Ancora sangue a , ancora sangue a Beirut. Nel giro di quarantotto ore lo Stato Islamico rivendica le stragi nei quartieri sciiti di Beirut, quaranta morti, e nel centro di , centoquaranta morti. Nemmeno un anno fa l’ultima eclatante azione jihadista in Europa, il massacro della redazione di Charlie Hebdo e le stragi nei negozi kosher a.
Ad inizio novembre il vigliacco attentato ad un aereo civile russo in Sinai aveva fatto altre centinaia di morti. E tra questi attentati ad aerei colmi di turisti e a locali a Parigi uno stillicidio quotidiano, Beirut è solo l’ultimo, in tutto Bilad al-Sham(il cosiddetto Levante di eurocentrica memoria essendo la sponda orientale del Mediterraneo, l’antica provincia settentrionale dei Califfati Omayyadi e Abbasidi, che comprende le regioni storiche di Siria e Palestina, attuale Libano compreso) e Iraq.
Ma intanto numerose sono state le sconfitte subite dal califfato sul campo. Le popolazioni del Rojava hanno resistito agli assalti e agli assedi e hanno ricacciato le truppe di Daesh oltre l’Eufrate in una fascia di decine di chilometri; hanno liberato tutto il corridoio dall’Eufrate al confine con l’Iraq in cui la Turchia confina con la Siria, creando enormi difficoltà logistiche per gli islamisti; le milizie degli Yazidi, oggetto di un vero e proprio genocidio da parte islamista neanche un anno fa, hanno riconquistato le loro terre, agendo insieme alle milizie dei cantoni confederati curdi e ad unità del governo regionale curdo in Iraq, e tagliando in due il territorio dello Stato Islamico, dividendo le due principali città, Raqqa e Mosul.
Per il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi i tempi sono cupi. La grande scommessa fatta dalla sua organizzazione è stata la creazione di un nucleo territoriale in cui restaurare l’islam medioevale, in cui fondarsi come stato. E così è stato: la capacità di controllare le risorse economiche del territorio, il tentativo di omologazione della popolazione tramite l’eliminazione fisica o l’espulsione forzata dei culturalmente diversi, cristiani e yazidi, la pacificazione dei conflitti tribali, il drenaggio di risorse economiche tramite la fiscalità. Ma tutto questo ha avuto un prezzo: l’ISIS si è innalzato in potenza ed è arrivato a preoccupare gli stessi che l’hanno finanziato come le petromonarchie teocratiche del Golfo Arabico. Ma ancora conta alleati in regione: la Turchia di Erdogan continua a chiudere due occhi sulle basi logistiche del califfato sul territorio turco, continua ad aiutare sottobanco l’ISIS per colpire i processi rivoluzionari in corso nel Kurdistan e nel tentativo di dare una spallata finale al regime di Assad in Siria. Gli stati a governance sunnita, o per lo meno frazioni delle loro classi dominanti, continuano ad usare l’ISIS e le organizzazioni similari in funzione anti-iraniana, e notiamo di sfuggita la coincidenza delle stragi a Parigi con la programmata visita in Europa del presidente iraniano, ad ora rimandata. Il governo israeliano se ne sta in disparte: fintanto che si massacrano nelle sue immediate vicinante non potrà emergere nessun attore in grado di sfidarlo manu militari come fece Hezbollah nel 2008. E il Califfato sa benissimo che non può permettersi di affrontare sul campo, nella zona vicino al Golan dove Israele e Califfato confinano, l’esercito di Tel Aviv: l’abnorme disparità di forze, tecnologie e capacità militari porterebbe alla disgregazione immediata delle truppe islamiste.
Ma se sul campo si prendono le bastonate dalle milizie dei cantoni confederalisti-democratici, dai peshmerga del governo regionale del Kurdistan iracheno e dalle milizie sciite irachene (braccio armato dell’Iran sul fronte iracheno ma accusate di pulizia etnica verso i sunniti, soprattutto durante la riconquista di Tikrit) coordinate con l’esercito siriano e con il supporto aereo, molto contraddittorio al suo interno, della Coalizione Internazionale e della Russia, che cosa cosa rimane al Califfo? Resistere sul campo, certo, e resisteranno ancora a lungo perchè nei fatti si sta instaurando un equilibrio di forze, ma anche provare a mascherare le sconfitte con qualche azione spettacolare nel cuore dell’Europa; provare a mantenere l’immagine di invincibilità derivata dai successi militari di un anno e mezzo fa.
Molti di coloro che in Europa e in Nord Africa, i due attacchi della primavera ed estate scorsa in Tunisia sono emblematici, erano sensibili alle sirene del Califfo sono emigrati nei territori sotto il suo controllo, alcuni sono tornati con addestramento, soldi e contatti, e hanno aggregato a loro altre persone. In questo si mistificano contemporaneamente due fatti. Il primo è che le intere comunità musulmane europee siano il nemico interno: una banale questione di numeri lo dimostra dato che gli islamici europei radicali, più o meno militanti, sono poche migliaia a fronte di una comunità di decine di milioni di individui, concentrati sopratutto in Francia, Regno Unito e Germania. Il secondo fatto che viene demistificato è che le misure di intelligence messe in campo dai governi occidentali siano di alta qualità. Un attacco alla sede di Charlie Hebdo e la successiva strage al’Hyper-Kosher potevano essere compiuti da pochi individui con armamenti leggeri e un minimo di addestramento base e in questo più difficilmente individuabili mentre i sette attacchi coordinati di venerdì 13 hanno necessariamente visto la partecipazione di decine di persone, anche con capacità tecniche non comuni, per procurare armi, munizionamento ed esplosivo, mezzi logistici. Le notizie al momento in cui questo articolo vengono scritto dicono che l’intelligence irachena avesse avvisato le sue controparti europee già giovedì che qualcosa di grosso sarebbe successo a breve dato che al-Baghdadi aveva ordinato rappresaglie contro i paesi impegnati a colpire gli obbiettivi islamisti, quindi non solo paesi NATO e arabi ma anche Russia e Iran; inoltre pare che la mente dell’attacco sia un belga residente nei territori dello Stato Islamico. Come mai l’intelligence francese, che pure ha un’esperienza decennale con il jihadismo a causa della guerra civile in Algeria negli anni novanta, non ha individuato quello che si stava preparando? Eppure gli ipertrofici e policentrici apparati di sicurezza dispiegati in tutto il mondo occidentale non dovrebbero servire proprio a questo? Le legislazioni antiterrorismo non dovrebbero servire appunto a colpire questa gentaglia? A quanto pare, invece, sono più funzionali per estendere un apparato di vigilanza continuo su tutta la popolazione che per bloccare una banda di tagliagole.
Il paradigma della “guerra al terrore” da cui derivano legislazioni e pratiche emergenziali, e il conseguente stato di eccezione, più o meno permanente, è finalizzato ad un maggiore disciplinamento dei dominati all’interno degli stati occidentali più che alla difesa da un qualunque nemico esterno, ed è servito, in Afghanistan e Irak, a fornire la copertura ideologica per un’operazione di predazione imperiale atta a conseguire un maggior controllo sulle risorse energetiche e a fornire un momento di accumulazione all’industria bellica statunitense. Inoltre la paura, il terrore, la guerra si possono mettere a valore. Il mercato della sorveglianza di massa, che sia condotto da aziende squisitamente private come le grandi multinazionali statunitensi o di carattere parastatale come Finmeccanica o altre aziende europee, ha subito un’impennata da quell’oramai lontano settembre del 2001, insieme al settore della difesa privata, comprese le aziende che forniscono esclusivamente sistemi e piattaforme logistiche per gli eserciti. Hollande, dopo aver fatto bombardare Raqqa per tutta la notte, ha dichiarato che “la Francia è in guerra”, “chi sfida la Francia sono solo i perdenti della Storia”, e chiede di modificare gli articoli 13 e 36 della Costituzione Francese, proprio quelli che disciplinano i poteri presidenziali e lo stato d’emergenza e di guerra, col fine dichiarato di poter prorogare lo stato d’emergenza per i prossimi tre mesi oltre i dodici giorni che la prassi prevede per decisione presidenziale e senza approvazione del parlamento. [1]
La logica dell’emergenza è servita a disciplinare e mantenere in uno stato subordinato il proletariato immigrato e i suoi figli delle periferie. È servita a tenere una costante tensione interna al proletariato europeo e a dividerlo su base etnica. E in questa logica rientra anche, in modo edulcorato e addolcito, il paradigma multiculturale caro alla sinistra progressista: mantiene una divisione in frazioni etnico-religiose delle classi subalterne e crea nuovi corpi separati e intermedi costituito dall’associazionismo religioso, nel tentativo di disinnescare i conflitti di classe interni alla popolazione di origine immigrata. Lampante il caso del deputato del PD Kalid Chaouki, che finita la gavetta che lo vede fondatore e poi presidente dell’associazione “Giovani musulmani d’Italia” e membro della “Consulta per l’Islam italiano” presso il Ministero dell’Interno, incomincia quella giornalistica e politica nei ranghi del PD fino a diventare deputato e responsabile nazionale immigrazione del partito [2].
Che i morti siano parigini o abitati di Beirut o di qualche sperduto villaggio siriano o, ancora, degli affogati nel Canale di Sicilia a noi non interessa.
Non interessa perchè ovunque sono loro a guadagnarci dalle guerre, ovunque siamo noi a subire quelle guerre. Ne consegue che ovunque ci dobbiamo opporre alle loro guerre e affermare la necessità e la volontà di costruire una società radicalmente diversa: laica, pluralista, solidale, senza frontiere, egualitaria e libera. Una società in cui tutti possano soddisfare i propri bisogni e perseguire i propri desideri.
Per questo è necessario ampliare le lotte e disinnescare i meccanismi securitari, classisti e razzisti che si fondano sulla creazione di un discorso nazionalista, sulla retorica dell’unità nazionale, sulla cooptazione della popolazione nelle logiche di guerra. È necessario e doveroso denunciare che la canea fascista europea è speculare alla canea islamofascista: entrambi sono portatori di una visione bigotta, reazionaria e classista dei rapporti sociali. È necessario denunciare che la logica del  risiede nelle strutture sociali su cui si mantiene l’ordinamento globale. È necessario affermare il valore della diserzione dalle loro guerre, del superamento del supremo spettacolo del  e dell’antiterrorismo, e rifiutare sia il ruolo di vittime passive della macelleria islamista che di carnefici al soldo delle classi dominanti occidentali.
La Redazione Collegiale di Umanità Nova
[2] http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/16/attentati-parigi-chaouki-pd-musulmani-scendano-in-piazza-senza-di-loro-esercito-e-intelligence-non-bastano/2224159/.

mercoledì 11 novembre 2015

Giovanni Passannante

fonte: http://ita.anarchopedia.org/Giovanni_Passannante


Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, Potenza, 18 febbraio 1849 - Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910), è stato un anarchico individualistaitaliano conosciuto che nel 1878 fu autore di un attentato fallito contro la vita di re Umberto I. Condannato a morte, la pena gli fu poi commutata in ergastolo che scontò in manicomio, dove passò il resto della sua vita.
Al suo paese d'origine, in segno di penitenza, venne imposto il cambio del nome in Savoia di Lucania in onore della famiglia reale.


Giovanni non è uno sprovveduto, è consapevole di quel che va a fare, sa che il suo gesto non potrà che procacciargli grossissimi guai. Il 16 novembre vende la sua giacca e acquista un temperino, poi scrive sul suo fazzoletto «A morte il re! Viva la Repubblica Universale». Il 17 novembre 1878 la carrozza di Umberto I di Savoia (il presunto “re buono”...) e la regina Margherita, percorre le strade di una Napoli festante accorsa a salutare il passaggio della coppia reale.
All'improvviso, Giovanni Passannante estrae dalla tasca un fazzoletto rosso in cui è nascosto il piccolo coltellino con una lama di 8 centimetri, si avvicina alla carrozza e colpisce il re. Margherita riesce a urtare l'attentatore con un mazzo di fiori e, miracolosamente, a deviarne il colpo sul primo ministro Cairoli, il quale si ritrova con una brutta lesione alla gamba, mentre Umberto viene ferito solo di striscio.
Dopo una detenzione di alcuni mesi durante la quale si cerca inutilmente di comprovare l'esistenza di un complotto ordito insieme agli anarchici napoletani Matteo Maria MelilloTommaso SchettinoElviro Ciccarese e Felice D'Amato (arrestati il 18 novembre 1878, dopo un anno saranno definitivamente scagionati), si celebra il processo. Durerà solo due giorni (6-7 marzo 1879).
Davanti a un pubblico elegante seduto in posti numerati e munito di binocolo per osservare meglio il “mostro”, la difesa d'ufficio è affidata all'avv. Leopoldo Tarantini. Questi ne assume la difesa previa richiesta perdono al re per l'"ingrato" compito caduto sulla sua testa. L'avvocato cercherà semplicemente di far passare Passannante per infermo di mente, nel tentativo di salvarlo dalla condanna a morte (la perizia di cinque luminari dimostra la sua “finezza e forza di pensiero non comune”).
La giuria, nonostante il codice prevedesse la pena di morte solo in caso di regicidio, non ha alcuna pietà per l'anarchico e lo condanna alla pena capitale, che sarà poi “magnanimamente” commutata dal “re buono” in ergastolo temendo che una condanna spropositata potesse trasformare l'attentatore in martire.
Condotto nella Torre del Martello del penitenziario di Portoferraio, chiamata poi dai marinai Torre Passannante perché da lì udivano i suoi lugubri e continui lamenti, è chiuso in una cella alta 1,50 e legato a una catena pesante 18 chili che gli consente di muoversi per un solo metro. Durante la detenzione Giovanni viene visitato solo dal deputato socialista Agostino Bertani e dalla pubblicista Anna Maria Mozzoni, i quali si trovarono di fronte ad uno "spettacolo" agghiacciante:
«Passanante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò... il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani... poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi» (Salvatore Merlino, L'Italia così com'è1891, in Al caffè, di Errico Malatesta1922).
Solo dopo l'incontro con Bertani e Mozzoni viene concesso il trasferimento nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. Qui, gravemente malato di scorbuto, quasi cieco e ormai completamente impazzito per le torture fisiche e psichiche subite, Giovanni muore a 61 anni il 14 febbraio 1910.



Dopo la morte le autorità continuano ad accanirsi sul corpo del povero Giovanni. La sua testa viene tagliata dal resto del suo corpo, teschio e cervello vengono accuratamente sezionati e conservati affinché i criminologi possano studiarli. Essi sono convinti di potervi trovare, tra le altre cose, anche la famosa fossetta occipitale mediana, segno inequivocabile di delinquenza secondo la pseudoscienza della frenologia, ampiamente sconfessata nei decenni successivi (in realtà tale fossetta occipitale mediana si trova presente anche in intere popolazioni che sicuramente non sono dedite a pratiche di criminalità di massa).




La permanenza dei resti nel Museo causò numerose proteste e interrogazioni parlamentari (tra cui quella di Francesco Rutelli); l'eurodeputato Gianni Pittella portò la questione allaCommissione e al Consiglio europeo chiedendo di dare umana sepoltura ai resti di Passannante. Il 23 febbraio 1999 il ministro di Grazia e Giustizia, il comunista Oliviero Diliberto, firmò ilnulla osta per la traslazione dei resti di Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che però avverrà solamente otto anni dopo anche grazie all'iniziativa dell'attore Ulderico Pesce. La sua petizione in favore dell'anarchico fu firmata da numerosi intellettuali, politici ed artisti (Francesco GucciniDario FoMarco Travaglio, Antonello Venditti, Oliviero Diliberto, Paola Turci, Carmen Consoli, Peter Gomez, Erri De Luca, Giorgio Tirabassi, ecc.) contribuirà in maniera decisiva allo sblocco della vicenda.
Finalmente il 10 maggio 2007 è avvenuta la sepoltura, nel paese natale, dei resti di Giovanni Passannante. (Il Ministro della Giustizia Mastella aveva stabilito che la traslazione doveva avvenire l'11 maggio 2007 e invece "i servizi segreti", per motivi di ordine pubblico, l'anticiparono, segretamente, al giorno prima.)

11 novembre 1887 morte di sette anarchici, un ottavo a 15 anni di reclusione, a Chicago




L'11 novembre del 1887 a Chicago, negli Stati Uniti, quattro operai, quattro organizzatori sindacali, quattro anarchici furono impiccati per aver organizzato il Primo Maggio dell'anno prima uno sciopero e una manifestazione per le otto ore di lavoro.
Il 20 agosto fu emessa la sentenza del tribunale: August Spies, Michael Schwab, Samuel Fielden, Albert R. Parsons, Adolph Fischer, George Engel e Louis Lingg furono condannati a morte; Oscar W. Neebe a reclusione per 15 anni.
Otto uomini condannati per essere anarchici, e sette di loro condannati a morte nella libera e felice Repubblica Federale Nordamericana. Ecco qui il risultato finale di una commedia infame nella quale non si considerò indegno un processo in cui ci si appellava liberamente alla falsità ed allo spergiuro.
La vista del tetro patibolo non commosse minimamente l’animo sereno di Spies, Parsons, Engel e Fischer, che dedicarono il loro ultimo pensiero alla causa tanto amata.Le ultime parole pronunciate dai nostri amici furono:
Spies: Salute, verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!
Fischer: Hoc die Anarchie! (Viva l’anarchia!)
Engel: Urrà per l’anarchia!
Parsons, la cui agonia fu terribile, riuscì appena a parlare, perché il boia strinse immediatamente il laccio e fece cadere la trappola. Le sue ultime parole furono queste: Lasciate che si senta la voce del popolo!
L’11 novembre del 1887 la borghesia di Chicago riposò tranquilla. Quattro uomini impiccati, un suicida e altri tre cittadini incarcerati avevano soddisfatto il suo brutale odio e la sua sete di vendetta. L’anarchia era stata distrutta. Ma il capitalismo era cieco e non vide che quell’ideale cresceva con forza nella massa dei lavoratori che tante volte aveva applaudito i martiri, che aveva fatto ogni tipo di sforzo per cercare di salvarli dal patibolo e che si sarebbe lanciata risolutamente a salvare i prigionieri se non fosse stata trattenuta dagli appelli di quegli stessi uomini che furono impiccati come criminali.
Pochi giorni dopo il sacrificio, i lavoratori di Chicago tennero un’imponente manifestazione di lutto, a prova che le idee socialiste non erano affatto morte.
Pietro Gori, ancora studente all'università di Pisa, scrisse un'epigrafe in memoria dei Martiri di Chicago. Per quella epigrafe fu incarcerato per la prima volta, perché il procuratore lo considerò l'istigatore dei disordini che si verificarono a Livorno appena si diffuse la notizia dell'assassinio degli esponenti anarchici. In quella occasione i popolani livornesi si rivolsero prima contro le navi statunitensi ancorate nel porto, e poi contro la Questura, dove si diceva che si fosse rifugiato il console USA.

domenica 8 novembre 2015

SIAM TUTTI FIGLI DI DISERTORI

Siam tutti figli di disertori, di coloro che rifiutarono di imbracciare le armi per non uccidere altri fratelli. Siamo i discendenti di quei 400.000 uomini che non vollero sporcarsi di sangue, per una guerra imperialista, che non comprendevano, che non faceva parte del loro presente.
Ieri, 7 novembre 2015, abbiamo ricordato quegli uomini ed i 2.000 fucilati per mano dei Regi Carabinieri, i mastini schiavi dello Stato allora come oggi.



Una manifestazione indetta da USI Reggio Emilia, Cassa di solidarietà libertaria, Pollicino Gnus, Federazione Anarchica Reggiana 







La manifestazione si è conclusa con la cena offerta dai compagni anarchici al Berneri.






giovedì 5 novembre 2015

Fabio Giovanni Malandra, a titolo personale, risponde al Direttore di Parmadaily Andrea Marsiletti

Cos'è Parma CHI:  http://www.parmadaily.it/242757/parma-chi-parma-risponde-le-associazioni-rispondono-sul-presente-e-sul-futuro-della-citta-di-parma/ 






Se la democrazia potesse essere altro che un mezzo di ingannare il popolo, la borghesia, minacciata nei suoi interessi, si preparerebbe alla rivolta e si servirebbe di tutta la forza e di tutta l’influenza che le sono date dal possesso della ricchezza, per ricordare al governo la sua funzione di semplice gendarme al suo servizio. Errico Malatesta

Carissimo Direttore Adrea Marsiletti, rispondo, a titolo personale, poiché Casa Anarchica Parma, oggi, è espressione del pensiero del Gruppo Anarchico Antonio Cieri FAI (Federazione Anarchica Italiana), alla tua richiesta di esprimermi circa il questionario sul presente e futuro della città, sottoposto alle associazioni e gruppi (di che?) di Parma. La prima domanda è: a quali associazione è stato inviato il questionario? Non certo all'associazione libertaria Furlotti, ne all'USI-AIT, ancor meno al Gruppo Anarchico Antonio Cieri.
Questa iniziativa la ritengo assolutamente falsa e deviante dalla realtà vissuta dai cittadini, fatta di tasse e disagi, prigionieri e schiavi della politica istituzionale, in particolare dall'attuale amministrazione, sorda, coscientemente cieca rispetto ai bisogni reali di ognuno di noi. Cinque stelle, PD, FI, i fascisti della Lega Nord -FN-CP, sono facce diverse della stessa medaglia, quella degli sfruttatori. In seconda battuta ritengo un'enorme falsità chiamarla "democrazia partecipata" nel momento in cui si escludono grandi fette del tessuto sociale parmigiano, come la Parma Antagonista al potere di pochi. Nel momento in cui escludi parte dei cittadini, la partecipazione non ha senso; quando nella politica entra prepotentemente l'interesse personale, quando l'interesse privato di pochi si antepone a quello collettivo, non esiste più la democrazia.
Per me, Anarchico, esiste , semmai, la democrazia diretta, quella teorizzata, per chi la condivide, da Murray Bookching: nelle democrazie rappresentative la politica è intesa come prerogativa esclusiva dell'élite dei partiti strutturati burocraticamente; nelle polis greche la democrazia diretta è l’attività di base e d’autogestione della vita collettiva dei membri della polis. Il municipalismo libertario, attraverso la democrazia diretta, mira l'allargamento della partecipazione alla vita pubblica, auspicando la nascita di città e tecnologie a misura d’uomo che permettano l’estensione e il funzionamento, su base orizzontale, di una rete di assemblee cittadine, le quali sarebbero preposte alla ratifica di decisioni che riguardino la collettività. "Non c’è nulla di nostalgico o innovativo nel tentativo dell’umanità di armonizzare il collettivo con l’individuale. L’impulso a realizzare questi scopi complementari (soprattutto in tempi come i nostri, in cui entrambi rischiano una rapida dissoluzione) è una costante ricerca umana che si è espressa tanto nel campo religioso quanto nel radicalismo secolare, negli esperimenti utopici come nella vita cittadina di quartiere, nei gruppi etnici chiusi come nei conglomerati urbani cosmopoliti. È la coscienza, e non altro, che in ultima istanza determinerà se l’umanità sarà in grado di raggiungere un senso pieno nella dimensione collettiva senza nulla sacrificare a un senso pieno della propria individualità".
Esiste, per precisare, una differente visione della società tra comunisti ed anarchici, come descritto da Camillo Berneri (nel quale sempre a titolo personale mi ritrovo), affermava che "mentre noi anarchici vogliamo l'abolizione dello Stato, mediante la rivoluzione sociale ed il costituirsi di un ordine novo autonomista-federale, i leninisti vogliono la distruzione dello Stato borghese, ma vogliono altresì la conquista dello Stato da parte del «proletariato». Lo «Stato proletario» - ci dicono - è un semi-stato poiché lo Stato integrale è quello borghese, distrutto dalla rivoluzione sociale. Anche questo semi-stato morirebbe, secondo i marxisti, di morte naturale". A tal proposito Errico Malatesta profetizzò che "Ottenere il comunismo prima dell’anarchia, cioè, prima di avere completamente conquistato la libertà politica ed economica,significherebbe stabilire una tirannia cosi terribile, che la gente rimpiangerebbe il regime borghese, per poi tornare al sistema capitalista".
Detto questo, carissimo Direttore, non parteciperò al prossimo raduno di pecore, come penso gli anarchici in generale, non intendo intervenire. In ogni caso, solo per te Andrea, rispondo a titolo personale al questionario da te sottopostomi, in sintesi ed a cuor leggero.
Parma oggi: una città in declino- in divisa-  fascistizzata ed in mano ai poteri forti.
Analisi delle cause: mancano risorse per i troppi debiti accumulati delle precedenti amministrazioni- troppe polemiche, la città non riesce ad unirsi per affrontare insieme i suoi problemi- il potere istituzionale è la causa dello sfacelo della città, i poteri occulti sono i veri mandanti. E' in atto una caccia alle streghe dove i migranti, gli antagonisti, sono addidati come colpevoli, distogliendo l'interesse da problemi come disoccupazione, tagli di posti pubblici, riduzione dei servizi sociali, degrado dell'istruzione a discapito dei nostri figli.
Per "Criticità prioritarie per la città di Parma" mi astengo, non per mancanza di argomentazioni, ma perché dal sociale, alla sanità, dovrei scrivere un romanzo.
La visione futura non è in discussione. In futuro sarà una società multietnica, che lo vogliamo o meno, sarà così. Aumenterà la differenza tra classi sociali.
Come vedo il prossimo sindaco? Certamente non votato da me: sarà uno sceriffo, parmigiano e naturalmente burattino dei poteri forti.
Concludo, caro Direttore Andrea Marsiletti, salutandoti con la mia visione, scomodando ancora una volta Errico Malatesta:
"Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo; noi vogliamo che gli uomini, affratellati da una solidarietà cosciente e voluta, cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il medesimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza".

Cittadino, anarchico, Fabio Giovanni Malandra


riferimenti:
http://parma.repubblica.it/cronaca/2015/05/12/news/parma_chi_un_salto_triplo_per_il_futuro-114145056/
http://www.gazzettadiparma.it/scheda/269790/Parma-chi-.html
http://www.parmadaily.it/82482/Parma_chi_La_citta_si_interroga/ ).

Reggio Emilia, manifestazione antimilitarista 7 novembre 2015



fonte:https://www.facebook.com/173479932706981/photos/a.174221012632873.49708.173479932706981/893734167348217/?type=3&theater


Sabato 7 novembre manifestazione antimilitarista a Reggio Emilia
Invito ad aderire e a partecipare
Sabato 7 novembre 2015 – concentramento corteo gabella di via Roma ore 15.00- invitiamo tutti e tutte a partecipare alla manifestazione
antimilitarista in centro città.
Riteniamo necessario continuare a lottare contro la cultura e la politica della guerra per opporsi con un'altra voce, un altro pensiero e un'altra memoria alla retorica guerrafondaia dello Stato, rinfocolata ogni anno in occasione dell'anniversario del 4 novembre e delle celebrazioni ufficiali.
Nell'anno del centenario dall'inizio della Prima Guerra Mondiale, pretesto per parate al passo d'oca, mentre si respingono ai confini disperati da ogni dove e si preparano nuovi conflitti, si rinnovano i contingenti nelle zone di guerra e si continua a investire in armamenti, crediamo sia necessario rendere questa manifestazione un'occasione di incontro fra quanti esigono un'altra politica, in chi crede che al centro di ogni decisione vada messo l'essere umano con le sue esigenze e i sui desideri.
Vogliamo ricordare tutti i disertori, gli obiettori, gli oppositori, che nell'epoca contemporanea hanno detto 'NO' alle guerre dei governi, che mandavano a morire solo per accrescere potere e ricchezze di pochi sulla pelle della popolazione.
Vogliamo ribadire quanto la politica dei governi, dentro e fuori la fantomatica Europa, sia esattamente la stessa di cento anni fa, come allora basata sulla legge del più forte, neocoloniale e guidata da valori unicamente economici.
Vogliamo ribadire che è sempre possibile, e fondamentale, dire 'NO' e ribellarsi a politiche belliciste, securitarie, discriminati, gerarchiche e maschiliste, cercando di creare dal basso una cultura diversa basata sulla solidarietà e l'uguaglianza.
Invitiamo le associazioni e i singoli a manifestare assieme contro le guerre di oggi e l'esaltazione di quelle passate, per ribadire la necessità di costruire un'altra società partendo dal basso, partendo da noi.
USI Reggio Emilia, Cassa di solidarietà libertaria, Pollicino Gnus, Federazione Anarchica Reggianaper contatti o adesioni 329 0660868

lunedì 2 novembre 2015

Antimilitarismo.

fonte: http://www.zic.it/corteo-antimilitarista-bloccato-dalla-polizia/

Corteo antimilitarista bloccato dalla polizia



Apposta alla caserma Cialdini una targa in memoria di Augusto Masetti, soldato che nel 1911 sparò al proprio colonnello per non partire per la guerra di Libia.

01 novembre 2015 - 14:20

Targa per Augusto Masetti (foto Berneri)Oggi (ieri, NdR) 31 ottobre 2015 un gruppo di compagni/e anarchici/e anarcosindacalisti/e è partito in corteo dal Circolo “C. Berneri” per portare una corona di fiori alla lapide – già affissa [vedi foto] – in ricordo di Augusto Masetti, “il soldato che disse no alla guerra”; che le antimilitariste e gli antimilitaristi glidedicarono nel centenario del suo gesto.
Il 30 ottobre del 1911, nel piazzale della caserma Cialdini di Bologna, gli ufficiali arringavano la truppa destinata alla guerra coloniale in Libia. Augusto Masetti rispose con un colpo di fucile – che ferì il colonnello Stroppa – gridando “Viva l’anarchia fratelli ribellatevi!”.
La questura di Bologna ha voluto dare l’ennesima prova della sua arroganza impedendo al corteo di raggiungere la caserma Cialdini bloccandolo all’incrocio Farini-D’Azeglio.
Una delegazione è comunque andata a deporre la corona di fiori – con la scritta “contro tutti gli eserciti, contro tutte le guerre” – presso la lapide mentre il corteo restava in presidio.
Negli interventi si è ricordato come contro la militarizzazione, la repressione e tutte le pulsioni reazionarie sia necessario scendere in piazza nei prossimi giorni per dimostrare che Bologna non vuole il razzismo e la xenofobia del nuovo duce MatteoSalvini e dei suoi sgherri fascisti.
Le compagne e i compagni del Circolo anarchico Camillo Berneri
Targa per Augusto Masetti (foto Berneri)

Inaugurata sede Ateneo Libertario, biblioteca Furlotti.

fonte: http://www.rossoparma.com/index.php/politica/citta/8219-anarchici-libertari-taglio-del-nastro-dell-ateneo-libertario-ha-preso-vita-la-furlotti-e-lo-sportello-sindacale


Anarchici Libertari: taglio del nastro dell'Ateneo Libertario, ha preso vita la Furlotti e lo sportello sindacale



Festa antifascista 20 ottobre 2018 via Testi 2 ore 18.30

Non è solo una grande festa antifascista, è una chiamata a tutte le forze antifasciste, quelle che si unirono attorno al più alto significa...